Il calare del sole che lascia spazio ad un altro corpo celeste è paradossalmente una della poche certezze che ci è stata donata, un cerchio che continuerà a chiudersi nel punto in cui si è aperto, un ritmo che non cesserà, almeno per adesso.

Ed è subito notte: la luce naturale si spegne e quella urbana illumina fiocamente il buio. Nel 1939, bastò un insignificante pregiudizio a far sì che calasse l’oscurità nella vita di milioni di persone, deportate e rinchiuse nei campi di sterminio che, anche di mattina, parevano  avvolti dal buio della notte più profonda, posti da cui molti non tornarono più indietro. La Giornata della Memoria è stata istituita proprio per ricordare i superstiti della Shoah che, passo dopo passo, il 27 gennaio del 1945, ripercorsero all’indietro i sentieri che, anni prima, li condussero all’Inferno, quei terreni aridi, testimoni di una strage, “asfissiati dal fumo e impregnati di dolore”, come le anime e il cuore di quegli innocenti che avevano pagato per un male mai commesso. Per loro, il sollievo della liberazione, ma anche il peso dell’assenza di chi non ce l’aveva fatta e di cui, adesso, rimaneva solo il ricordo. Simbolica la scelta di privarli di un nome, al loro ingresso nei campi di concentramento, di renderli un numero, uno fra tanti, come se l’assenza di un’identità rendesse un omicidio paragonabile all’inumazione di un uomo già morto. Rammentare è indispensabile per smuovere i nostri animi di fronte a questi accaduti che hanno caratterizzato il passato e hanno segretamente aperto l’ingresso nella nostro mondo a tutte quelle stragi che caratterizzano, ancora oggi, la nostra quotidianità. Occorre, quindi, non dimenticare, rendere le cicatrici insegnanti e promemoria, affinché ciò che è stato non si ripeta mai più.