Con il documentario Vento di soave Corrado Punzi fa luce su una realtà ai più sconosciuta: quella di Brindisi, città soffocata da lungo tempo da un feroce inquinamento ambientale.

A rendere disastrosa la situazione sono, in particolare, la presenza di una centrale a carbone della multinazionale Enel e un impianto petrolchimico Eni, a causa dei quali il brindisino, ed in generale il Salento, risultano avere indici superiori alla media europea per quanto riguarda la presenza di malattie tumorali. Il soggetto, scritto a quattro mani da Punzi e dal giornalista Stefano Martella, e sceneggiato, oltre che dallo stesso regista, da Francesco Lefons, racconta vicende parallele sviluppando la narrazione su piani diversi. Ad imputare accuse di responsabilità ambientali alla centrale di Enel sono due agricoltori ed un sub. I primi, tra loro vicini di casa oltre che della stessa centrale, vivono e soffrono sulla loro pelle le conseguenze dirette di questa vicinanza; il secondo, preoccupato dai danni subiti dalle specie marine, è deciso a far luce sulla situazione. A contrapporsi e ad intrecciarsi con queste vicende, che corrono su binari paralleli, è la figura dell’addetto stampa della stessa azienda, il quale oppone alle accuse una presunta verità a queste diametralmente opposta, arrivando a negare che la multinazionale possa aver contribuito in alcun modo ad aggravare le condizioni ambientali del brindisino. A fare da fulcro all’intero documentario è quindi la contrapposizione tra il progresso scientifico e le vicende umane di chi si ritrova da questo travolto e soffocato. La macchina da presa è uno squarcio aperto sulla tragica realtà brindisina e si limita a mostrare la complessità di questa situazione senza mai cadere in sentimentalismi. La stessa scelta di non mostrare il termine del processo fatto ad Enel per i danni ambientali procurati è emblematico del rifiuto a voler semplificare questo fenomeno. Il regista sembra voler consegnare allo spettatore tutti gli strumenti adatti per poter formulare un giudizio proprio, svincolato da condizionamenti, ed è proprio questo il punto di forza del documentario. Lo sguardo freddo della cinepresa viene riscaldato e compensato dal sentimento genuino dei protagonisti, le cui esistenze si trovano ad essere sconvolte da un vento di soave, termine coniato da Dante per indicare Federico II di Svevia, imperatore a cui è intestata la stessa centrale Enel: è pura empatia verso chi soffre quella che porta chi assiste allo scorrere delle vicende a schierarsi con gli uomini piuttosto che con una malsana opera del progresso.