L’ironia è stata l’arma di chi, dopo la Svezia, aveva paura di affrontare il ritorno, perché sapeva che l’Italia delle qualificazioni ai Mondiali non era quella dell’Europeo del 2016.

Ma tutti gli italiani ci credevano e il sold-out del San Siro ne era una dimostrazione. Si inneggiava alla Remuntada e i più ottimisti già pensavano ai gol di Immobile e alle giocate super di Jorginho. Nulla accade, però; le giocate più prestigiose sono solo le parate di Buffon che salvano un risultato, in bilico fino alla fine. Sembra quasi assurdo mancare all’appello del Mondiale, ma, il 3-0 subito a Madrid e la vittoria sofferta contro la Macedonia, sono lo specchio di una Nazionale che non funziona. L’Era Conte aveva ridato speranza al calcio italiano, facendo dimenticare le eliminazioni nei gironi dei mondiali precedenti. Una speranza che si è trasformata in illusione quando, al triplice fischio di Italia-Svezia, l’Italia si è liberata della maschera e ha mostrato a tutti la sua vera identità: un volto distrutto, ma da ricostruire per far rinascere passione ed entusiasmo. La crisi dello sport italiano, ormai datata, ha affinità con la crisi dei talenti italiani, e tutto ciò dipende da un unico fattore: una politica federale inadeguata. Un calciatore nasce, cresce e matura all’interno di un club ed è da esso che dipenderà tutta la sua carriera calcistica. In Italia, dove il calcio è lo sport più diffuso, i giovani talenti crescono e sono istruiti in strutture disastrate. Un normale club italiano investe solo nella prima squadra e nello straniero di turno che rappresenta il colpo di mercato, dimenticandosi del settore giovanile che, nell’immediato, non produce nulla, come una macchina ancora in versione prototipo. Si è andati avanti così, arrancando per qualche anno, ma ora, quella macchina perfetta su carta, costruita da una politica sportiva poco lungimirante, non parte. Quei veri talenti e quei giovani calciatori che corrono nei pochi impianti e nelle strutture giovanili non trovano allenatori e preparatori atletici, ma tanti Ponzio Pilato che, al posto di prepararli sia fisicamente che mentalmente, se ne lavano le mani. A soffrirne sono gli italiani, che vedono un Mondiale trasformarsi in quell’incubo vissuto nel 1958, quando uno sport come il calcio pesava molto meno dal punto di vista economico e sociale. Il Mondiale 2018 sarebbe stato un motivo di unione sociale, perché è proprio questo il vero gol dello sport. Da questa delusione bisogna ripartire. Ripartire dai giovani, i protagonisti dello sport. Iniziare dalle Scuole Calcio con un progetto ben strutturato e organizzato che possa essere efficiente come quello tedesco e come quello spagnolo: due Nazioni che anni fa hanno patito una debacle calcistica ma che, ora, sono tra le più forti al mondo. Sono ripartite investendo nei giovani. I dati statistici sono chiari: il Barcellona è il club europeo che, negli ultimi anni, ha investito di più nelle scuole calcio e, non a caso, è uno dei  club migliori al mondo che ogni anno sforna talenti non solo stranieri, ma anche spagnoli come Xavi, Puyol, Iniesta, Piquè, Busquets, oggi realtà  della Nazionale spagnola. Purtroppo si aspetta di arrivare al punto di non ritorno, prima di capire che qualcosa non va, oppure si cerca di mascherare ciò che alla fine costringerà ad aprire gli occhi e, allora, farà più male. La Nazionale Italiana è giunta al fallimento non inaspettatamente, perchè le urla del suo struggimento interiore riecheggiavano da qualche anno nel cuore dei tifosi Azzurri. Ma c’era chi non le voleva sentire.