C’era una volta un uomo che viveva tranquillo.

Lavorava il suo campo, disegnava i suoi tramonti, cantava insieme ai suoi uccelli, leggeva la natura e scriveva la sua vita con la zappa. Voleva fare del suo campo un giardino, ed in effetti campava allegro e felice nel paradiso terrestre che si era creato.     Un bel giorno, Homo Sapiens (questo era il suo nome) conobbe Homo Insipiens che vegetava tranquillo nel suo campo incolto. Invece di lavorare dormiva, e così non vedeva né albe né tramonti, non sentiva neppure il canto degli uccelli; dormiva, e dormendo non leggeva che sogni, non scriveva che fantasmi. Non sapeva che farsene del suo campo che ormai era diventato il suo letto, un letto di erbacce. Era pigro ed annoiato, il tempo non passava mai, anzi pareva che per lui si fosse fermato, tanta era la immobilità, la monotonia della sua vita.      Quando Homo Sapiens si affacciò nel suo campo e gli chiese come si chiamava, Homo Insipiens socchiuse appena gli occhi, disse il suo nome con flemma, si girò dall’altra parte e continuò a ronfare. Homo Sapiens rimase deluso nel veder così sfumare la possibilità di avere qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere di tanto in tanto, ed ancor più quando si ritrovò Homo Insipiens addormentato (tanto per cambiare) nel proprio campo. Il perché non tardò a capirlo: durante la notte un tale aveva praticamente conquistato il campo dell’Insipiens e lo aveva cacciato via.     Subito si mise a spiare le mosse del tale che pareva in preda ad una strana agitazione. Sbraitava al vento, sgridava gli uccelli perché cantavano, cancellava lo sguardo dei tramonti con l’ira dei suoi occhi infuocati, leggeva parolacce, scriveva bestemmie, non lavorava, ma si limitava a girare lungo i confini del campo appena usurpato; insomma, sembrava pazzo, e Sapiens decise di chiamarlo Homo Demens.     Quando Insipiens si svegliò (solo per un attimo naturalmente), e seppe che il suo campo non gli apparteneva più, invece di reagire, si riaddormentò. Ma al timore di Sapiens di dover ospitare, chissà per quanto, quel parassita, si aggiunse il terrore che il pazzo volesse prima o poi allargare ulteriormente i propri domini.     E da quel giorno la vita di Sapiens cambiò radicalmente, l’ansia e la preoccupazione di perdere il proprio amatissimo campo, lo resero guardingo e sospettoso. E ne aveva ben ragione, perché, ben presto, Homo Demens si accorse della presenza di quel bel campo e lo volle suo. Detto fatto! No, stavolta trovò di fronte un avversario deciso a difendersi a colpi di zappa e dovette far subito dietro front!    Sapiens, benché pensasse che forse la lezione sarebbe bastata, non abbassò la guardia, ma da solo, poveretto, non poteva certo vegliare giorno e notte. Così, una notte, mentre Sapiens dormiva morto di stanchezza, Demens entrò nel suo campo e, disarmando il suo legittimo proprietario, se ne impossessò.     Che amaro risveglio per Sapiens reso schiavo in casa propria! Demens infatti a suon di frusta costrinse Sapiens a lavorare per lui, e, incredibile ma vero, riuscì a far lavorare perfino quello scansafatiche di Homo Insipiens.     Il pazzo non voleva un campo, né un podere, ma il potere! Così i due schiavi non zapparono, non ararono, non seminarono, non irrigarono, non raccolsero, non mangiarono, non riposarono. No, il pazzo non voleva coltivare i campi, voleva farne dei campi di concentramento! E fece lavorare i due infelici per costruire le armi che gli servivano per difendere il suo potere e si fece innalzare una torre su cui sistemò il suo trono. Da quell’altezza scrutava gli orizzonti alla ricerca di nuovi campi da conquistare e nuovi schiavi da soggiogare.     No, il pazzo non voleva conquistare i campi e nemmeno farne dei campi di concentramento; voleva farne dei campi di battaglia! E così fece lavorare i due schiavi per scavare delle buche che gli servivano da trincee per difendere il suo podere e la torre del suo potere.     Ma il pazzo non voleva farne nemmeno dei campi di battaglia; voleva farne dei campisanti!    E naturalmente fece lavorare i due malcapitati per costruire delle scatole di legno che sarebbero servite per chiudere i morti eroicamente caduti per difendere il loro capo.     Sì, il pazzo voleva morire, voleva uccidersi; ma per farlo aveva bisogno di uccidere prima tutti gli altri che, benché stanchi morti di lavoro, non avevano alcuna intenzione di morire!    Infatti i due schiavi lavorarono, uno con la rabbia di chi era costretto a lavorare per un pazzo, l’altro con la fiacca di chi non aveva mai lavorato. E così furono uccisi dalle armi da loro stessi costruite, chiusi nelle bare da loro stessi fabbricate, sepolti nelle fosse da loro stessi scavate nei loro stessi campi. . . solo per far compagnia all’unico che non lavorava, all’unico il cui unico scopo nella vita era di uccidere e morire!1981