RECENSIONE NO SPOILERALL’INSEGNA DELL’ASSURDO1 ottobre 1989 ore 12 in punto.

In diversi paesi del mondo quarantatrè donne che non avevano mostrato, fino a quel momento, alcun segno di gravidanza, partoriscono contemporaneamente altrettanti bambini. Sette di questi bambini vengono, letteralmente, comprati dell’eccentrico miliardario Sir Reginald Hargreeves che, scoprendo in loro straordinari poteri, ne farà una squadra di supereroi pronta a salvare il mondo. E’ questo l’incipit di The Umbrella Academy, serie targata Netflix tratta dall’omonima graphic-novel ideata da Gerard Way, frontman dei My Chemical Romance, e disegnata da Gabriel Bá. Un tripudio di eccentricità e grottesco trasposto in una serie frizzante e malinconica, che rende giustizia alla stravaganza della fonte, approfondendone il lato più intimistico e drammatico. FAMIGLIE DA RICOSTRUIRE E MONDI DA SALVARESono passati trent’anni da quel primo ottobre dell’89 e la morte di Sir Hargreeves innesca una cascata di improbabili eventi che costringeranno i fratelli rimasti (uno di loro è morto) ad unire le forze, tra contrasti, malintesi e scontri violenti, per contrastare l’arrivo di un’imminente apocalisse. DISFUNZIONALI (ANTI)EROIIl pregio più grande della serie è, certamente, da ricercarsi nei suoi protagonisti, etichettati dall’austero padre, a riprova del problematico rapporto con essi instaurato, con dei numeri. L’ingenuo omaccione Luther (N. 1), il vigilante rancoroso Diego (N. 2), l’infelice stella del cinema Allison (N. 3), l’eccentrico tossico Klaus (N. 4), il viaggiatore dello spazio-tempo Numero 5 e la triste disadattata Vanya (N. 7): sei fratelli vessati da un’infanzia difficile, rimasti troppo a lungo separati a causa di dissapori e gelosie, bambini-eroi per costrizione, adulti frustrati di conseguenza. Si tratta di personaggi sfaccettati e mirabilmente caratterizzati, dotati di una tridimensionalità mai scontata che si esplica nel corso delle puntate. Una palese chimica lega il cast di interpreti tra cui spiccano una Ellen Page (N. 7), magnetica nel rendere le insicurezze dell’unica tra i sette fratelli a non aver mai manifestato poteri e per questo esclusa, dimenticata e un Robert Sheehan (N. 4) ammaliante nell’interpretazione di un ragazzo eccentrico e sregolato, ma dall’animo sensibile, maledetto dal dono di poter comunicare con i morti, che si rifugia nella droga per smettere di sentire quelle voci che lo tormentano. OLTRE I CINECOMICSIn un’era cinematografica e seriale, in cui grandi schermi e non solo, si illuminano continuamente delle avventure di quello o di quell’altro supereroe, The Umbrella Academy  è un fulmine a ciel sereno, una ventata di aria fresca su un genere che rischia di diventare stantio, riproponendo pedissequamente medesimi temi e clichè. La serie Netflix non fa nulla di tutto ciò, offrendoci, invece, un amalgama di contenuti e tematiche che vanno dall’alienazione familiare all’infanzia infelice, dalla tossicodipendenza all’elaborazione del lutto, dall’accettazione di sé alla solitudine esistenziale e fisica. Il tutto con un fare esagerato, ma mai eccessivo o didascalico, tinto di sano humor e momenti irriverenti a cui si alternano scene, o intere puntate, dotate di una profondità emotiva d’impatto. TOP O FLOP?Al netto di qualche momento un po’ lento o tipicamente esplicativo, e di alcuni interrogativi lasciati irrisolti (ma che certamente troveranno risposta nella prossima stagione già in cantiere) The Umbrella Academy è una serie avvincente, sprezzantemente stravagante che declina topoi abusati in maniera originale e innovativa: una corsa adrenalinica nel tunnel dell’assurdo che non disdegna momenti di estremo realismo e profondità. Consigliatissima.