Vi siete mai soffermati a riflettere sul perché, quando qualcuno fa partire un applauso senza che voi ne sappiate il motivo, a volte vi sorge spontaneo unirvi ad esso?
Quante volte avete attraversato la strada senza notare il semaforo rosso solo perché avete visto gli altri davanti a voi fare lo stesso?
Vi siete mai trovati allo stadio o nel mezzo di una manifestazione – situazioni pur diverse – a gridare motti e cantare inni, anche non conoscendone il significato o essendo persino in disaccordo con essi?
È ciò che è successo a George Mosse, sociologo e storico tedesco di origine ebrea che, all’età di quattordici anni, partecipò a un raduno nazista dove inconsapevolmente, trascinato dall’onda umana, si sorprese a gridare nella folla (e nella follia) filo-nazista: “Morte agli ebrei”.

Anche se pensiamo di essere padroni dei nostri pensieri e comportamenti, in realtà siamo sempre influenzati dagli altri intorno a noi, dalla massa di individui che ci circonda. Ne siamo forse più consapevoli all’interno di un gruppo ristretto, dove si cerca di uniformarsi ad ogni costo alla maggioranza nella paura di essere esclusi per una discordanza di comportamento, aspetto o pensiero. Il meccanismo che si innesca nella nostra mente quando si è nella massa è invece più celato, più subdolo. Non ci soffermiamo neanche a pensarci, accade con naturalezza, ma può farci dimenticare i valori fondamentali sui quali si basa la nostra società e nei quali noi stessi crediamo.

Un esempio è il fenomeno del Bystander effect: secondo alcuni studi psicosociali, gli individui non offrono quasi mai aiuto a una vittima quando sono presenti altre persone. Maggiore è il numero degli spettatori, minore è la probabilità che qualcuno di loro aiuti. Notando che nessuno interviene, infatti, ognuno di noi si convince di non trovarsi davanti ad un’emergenza e tende ad ignorare la situazione, omologandosi alla maggior parte degli spettatori.
Ulteriore aspetto è la deresponsabilizzazione: pensiamo che chiunque altro potrebbe intervenire al nostro posto, dato che la responsabilità è suddivisa in talmente tante coscienze diverse da non esercitare più alcuna reale pressione su nessuno.

Un altro fenomeno dell’influenza della massa sul singolo è Il fumo nella stanza: come ci comporteremmo se vedessimo del fumo provenire da sotto una porta?
Stando da soli nella stanza, segnaleremmo immediatamente l’emergenza, ma in presenza di altri, pare che solo il 10% delle persone reagisca. Facendosi condizionare dagli altri, si agisce anche contro il proprio stesso istinto, per non apparire ancora una volta diversi.

Nella massa si tende quindi a perdere la propria identità, uniformandosi sempre di più gli uni agli altri, arrivando a pensare tutti nello stesso modo o peggio a simulare ciò. Proprio per la mancata espressione di una pluralità di opinioni, la folla è più facilmente manipolabile, trascinata senza difficoltà da uomini che sanno blandirla con false promesse o posizioni estremiste. La massa è pertanto un male assoluto? No, anzi. Ha un potere formidabile, la sua mobilitazione è uno strumento indispensabile per qualsiasi cambiamento o rivoluzione.
È però vitale che ogni membro di essa mantenga e magari esprima un pensiero critico e i propri valori, in modo tale da non essere trascinato dal “branco”. È quindi fondamentale trovare una propria identità e riconoscersi in essa, per non avvertire il bisogno di concordare ad ogni costo con il pensiero altrui, omologandosi non sempre necessariamente al meglio.