Nell’era dei live action targati Disney, i lungometraggi che vedono attori in carne ed ossa prendere le fattezze dei più iconici personaggi dei cartoni animati classici (dall’Aladdin con Will Smith in versione Genio alla Bella e La Bestia con Emma Watson) debutta nei cinema italiani, in tempo per allietare le festività natalizie, Pinocchio, la nuova trasposizione della fiaba senza tempo del nostro Collodi. Nessun intervento disneyano questa volta: dietro la macchina da presa di questa ambiziosa produzione uno dei più talentuosi cineasti del bel Paese, Matteo Garrone. Lo stesso Garrone che solo qualche mese fa aveva conquistato pubblico e critica (e pure 9 David di Donatello tra cui miglior film e regia) con il meraviglioso Dogman e che torna alla ribalta con un prodotto che è un vero unicum nel panorama cinematografico italiano, un film non privo di difetti, ma capace di scaldare il cuore con sincerità e delicatezza rare. 

UNA FIABA AUTORIALE 

Trasporre su schermo una storia talmente tanto radicata nell’immaginario collettivo, realizzando un prodotto di qualità nella propria autonomia, non è impresa facile. Ne sa qualcosa quel mattatore di Roberto Benigni che, reduce dal flop del suo di Pinocchio, ci regala qui un Geppetto logoro, consumato eppure vispo e amorevole affidandosi completamente, con l’umiltà dei grandi, alla maestria di Garrone. Un artista ormai maturo, quest’ultimo, che decide sapientemente di abbandonare i patinati e zuccherosi universi disneyani per dare vita a un racconto che sa essere crudo, a tratti inquietante pur compiacendosi dei topoi del genere fiabesco. Anzi, proprio la fiaba delle origini, quella dei fratelli Grimm, a suo modo macabra e cruenta, sembra la principale fonte di ispirazione di questo Pinocchio, che trasuda la poetica del suo regista da ogni fotogramma; un film d’autore mascherato da fiaba per il largo pubblico.

IL REALISMO INCANTATO

Il vero quid in più di questo adattamento è proprio il realismo, assente nel cartone, continuamente ricercato nelle meravigliose ambientazioni, nelle scenografie che dialogano alla perfezione con il racconto e nell’impeccabile scelta dei costumi. Un realismo che, però, si tinge di incanto essendo, quello rappresentato, un mondo popolato da creature fatate, burattini senzienti e animali antropomorfi. Uno stuolo di personaggi secondari, questo, tra i quali spicca, per la verve comico-grottesca degli interpreti, l’iconica coppia del Gatto (Rocco Papaleo) e la Volpe (Massimo Ceccherini). Il risultato è un amalgama interessante, ma che non funziona in tutte le scene generando, in alcuni passaggi, uno spiacevole senso di straniamento.

UNA FIABA UNIVERSALE

Ma Pinocchio è un film che va guardato con gli occhi di un bambino che può perdonare qualche forzatura narrativa qua e là e quello che ad un adulto potrebbe sembrare un eccesso di didascalismo in alcune battute. D’altronde è proprio ai bambini che la storia del burattino di legno disobbediente si è sempre rivolta. Garrone, consapevole dell’imprescindibile venatura pedagogica del racconto che ha fra le mani, confeziona un film capace, con una semplicità disarmante, di parlare ai bambini di ogni età. Anche a chi dell’infanzia ha perso proprio l’innocenza fiabesca.