di Gabriele Guerrieri

#AndTheOscarGoesTo

25 maggio 2019. Parasite del semisconosciuto (almeno al grande pubblico) regista sudcoreano Bong Joon-ho vince, con voto unanime della giuria, la Palma D’Oro al 72° Festival Di Cannes, smentendo i pronostici della vigilia e soffiando l’ambitissimo riconoscimento a pellicole del calibro di C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino e Dolor y Gloria di Pedro Almodóvar. Il conquistatore della Croisette inizia la sua ascesa dirompente. Le lodi si sprecano: pubblico e critica lo adorano. Fa incetta di premi durante l’Awards Season: è il Miglior Film Straniero ai Golden Globe e ai Critics’ Choice Awards e il suo è consacrato come il Miglior cast cinematografico agli Screen Actor Guild Awards. Parasite ha fame di Oscar. E, forte di sei nominations, con una statuetta come Miglior Film Internazionale già ipotecata, entra nella storia degli Academy Awards: è la prima pellicola coreana ad essere candidata anche a Miglior Film (la decima in lingua non inglese nella storia dei premi) e il suo regista, il primo coreano a competere per la Migliore Regia.

TRA SCARAFAGGI E MAGGIORDOMI 

I Kim, poverissimi sottoproletari, vivono in condizioni di disagio in un seminterrato fatiscente barcamenandosi tra lavoretti malpagati e una voglia di rivalsa che li condurrà in un tunnel di menzogne e sotterfugi cui potrebbero rimanere rinchiusi. I Park, al contrario, ricchi e spocchiosi borghesi proprietari di una lussuosa villa che diverrà palcoscenico degli sconvolgimenti che caratterizzano la trama, si beano di comfort e benessere. L’ apparentemente insanabile divario sociale fra le due famiglie e le intricate relazioni che si intesseranno fra i loro membri costituiscono il cuore di questo Parasite.

Un lungometraggio non ascrivibile ad un preciso genere filmico, mix avvincente di commedia nerissima, dramma d’autore e thriller psicologico dalle tinte orrorifiche, che fa della graffiante critica ad una società sudcoreana ai limiti del classismo il suo tema cardine.     

IL CAPOLAVORO DEL 2019

Una regia curata al millimetro, un montaggio armonioso, una sceneggiatura di ferro costruita attorno a personaggi sfaccettati e dinamici e una scenografia da applauso contribuiscono ad amplificare l’efficacia del messaggio questo lungometraggio. La piaga della miseria, la polarizzazione della ricchezza, la vuotezza di una borghesia e la sua cecità di fronte alle problematiche sociali, il labile confine tra giusto e sbagliato: sono tematiche urgenti ed universali che vengono trattate con un realismo estremo, privo aride idealizzazioni e manichee semplificazioni.

Nel suo discorso di accettazione del Golden Globe, il regista Bong Joon-ho ha ricordato:

Una volta superata la barriera alta pochi centimetri dei sottotitoli, scoprirete così tanti altri incredibili film.

Credete ne valga davvero la pena? Se, abbattuto questo controproducente pregiudizio, si può godere di capolavori assoluti come Parasite, che i cinema si riepiano di film sottotitolati!

Una pellicola sudcoreana partita in sordina, quindi, ma che si è rivelata incontrovertibilmente il film migliore del 2019.