di Clementina Salamina

Un computer, una connessione dati, tanta forza di volontà: tutto ciò di cui avete bisogno per diventare dei nomadi digitali.

Ma chi sono davvero i nomadi digitali? Nell’immaginario comune, sono solitamente ragazzi e ragazze molto giovani, super impegnati a sorseggiare un drink ghiacciato su una spiaggia argentata ammirando un tramonto infuocato dalla storia di Instagram appena postata. Ma è veramente così?

Andiamo con ordine: generalmente i digital nomads sono professionisti che, con il solo ausilio di un laptop e una connessione ad internet, possono permettersi di lavorare da qualsiasi zona del globo, “dall’Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno.”

Le figure professionali che consentono di lavorare viaggiando (senza doversi presentare in ufficio) sono numerose e appartengono a svariati ambiti lavorativi. In una community di nomadi digitali a Bali, in Indonesia, nello stesso giorno si possono scambiare ricordi di viaggi con un travel vlogger o un fotografo, brindare con del latte di cocco con un programmatore e un graphic designer, scambiarsi i contatti con un social media manager e un digital marketer.

Perché proprio a Bali? Perché è uno dei principali punti di incontro dei nomadi digitali, accompagnato da Thailandia, Nuova Zelanda, Inghilterra e molti altri. La scelta della temporanea dimora può essere dettata da motivazioni di carattere finanziario (molte zone dell’Asia sono più economiche dell’Italia), lavorativo (nel caso dei travel vlogger, è d’obbligo visitare luoghi meravigliosi da far entrare nelle case e nel cuore dei propri follower) o semplicemente personale (chi non vorrebbe svegliarsi a Sydney domani mattina?).

Sembrerebbe una vita da sogno. Eppure, dietro all’esaltante video di Youtube nel quale la nostra digital nomad preferita ci spiega in quale zona del globo è finita, si cela l’altra faccia della medaglia: prepararsi ad una vita irregolare, costellata da addii, solitudini e incertezze. Perciò in media questo tipo di carriera dura dai tre ai cinque anni, massimo dieci.
Con il passare del tempo infatti, oltre alla sensazione di sradicamento dal proprio Paese e al rischio della mancanza del contatto umano (se non si opta per lavorare in una community), sopraggiunge un desiderio di stabilità, familiare e in seguito anche finanziaria.

Talvolta il peggior nemico diventa la stessa libertà da legami di ogni tipo che affascina quando si sente nominare questo lavoro per la prima volta: è necessario saper seguire una tabella di marcia, mettendo in gioco ogni briciolo di forza di volontà per rispettarla. D’altra parte un’ossessione nello svolgere ciò che si pensa sia il proprio dovere può portare a un sovraccarico, non tanto del computer quanto della mente: è vitale riuscire a trovare un equilibrio tra lavoro e svago, non lasciandosi sopraffare dal mito della produttività.

Ciò nonostante, vivere da nomade digitale per un periodo consistente equivale a diventare un vero cittadino del mondo: stabilendosi nelle diverse nazioni e imparandone le tradizioni e a volte la lingua, la propria cultura diventa un mosaico di civiltà. Cinque anni seguendo questo stile di vita formano l’individuo spesso più di quanto la restante parte di vita possa mai fare.

Cogliendo però l’ironia dell’uomo che, diventato gradualmente sedentario evolvendosi, ritorna nomade al culmine del suo progresso tecnologico.