di Gabriele Guerrieri

Di realtà post-apocalittiche ne sono pieni tanto il piccolo, quanto il grande schermo. Pare, infatti, che il mondo devastato da una guerra nucleare o dal più bizzarro cataclisma capace di decimare l’umanità, sia un’ambientazione che solletica molto l’interesse delle grandi produzioni. Il che è sicuramente riflesso del gusto di un pubblico che ha portato al successo pellicole come Mad Max o le saghe teen Hunger Games, Divergent e serie come The Walking Dead e The 100, che hanno reso maistream il post-apocalittico. Sarà che sentiamo tanto vicino l’avvento dell’Apocalisse, da voler apprendere come sopravvivere in queste circostanze, prendendo lezioni dai sopravvissuti cinematografici? 

È nel sottobosco di queste produzioni, che hanno elevato il post-apocalittico ad un genere a sé stante, che si colloca Daybreak, serie tv targata Netflix basata sui fumetti di Brian Ralph. Il colosso dello streaming ci riprova dopo il fiasco qualitativo dell’esperimento The Society (molto vicina a Daybreak in presupposti e ambientazioni generali), centrando questa volta il bersaglio con un prodotto fresco, frizzante, che, forte di un’identità chiaramente definita, aggiunge del nuovo a un genere apparentemente saturo.

GUIDA APOCALITTICA PER SOPRAVVISSUTI

Glendale, California. Un’esplosione nucleare ha decimato la popolazione mondiale; (quasi) tutti gli adulti sopravvissuti sono stati trasformati in ghoulies, zombie che vagano per le strade ripetendo il loro ultimo pensiero, per quanto vacuo o ridicolo. Gli adolescenti sopravvissuti, divisi in tribù, dovranno imparare a sopravvivere in un mondo arido e colmo di pericoli. La serie segue le peripezie di una banda di esilaranti disadattati: Josh, diciassettenne impacciato, novello Artù in cerca della sua Ginevra (l’angelicata Sam), la decenne Angelica, piromane enfant prodige della scienza e Weasley, samurai alternativo, ex bullo scolastico che dovrà fare i conti con il suo passato. 

DIALOGANDO CON IL PUBBLICO 

Il primo grande pregio di questa chicca di Netflix è la capacità di dialogare con spontaneità e vivacità con il suo pubblico. In particolare con l’audience a cui la serie è destinata: gli adolescenti che nella complessità e nelle sfaccettature di iconici e diversificati personaggi riescono ad immedesimarsi. Ma che, soprattutto, riconoscono nello slang usato dai protagonisti, la loro maniera di esprimersi senza che si percepisca quello straniamento tipico di sceneggiature che tentano di replicare il linguaggio giovanile, scadendo in una, di questo, illegittima caricatura. Merito di una scrittura sagace, pungente, grottesca e sempre varia che permette ai personaggi di rompere continuamente la quarta parete e conversare (letteralmente) con lo spettatore. Questo permette un’ immersione completa in un mondo post-apocalittico che, nelle ambientazioni, cita, senza in alcun modo nasconderlo, il recente Mad Max: Fury Road. Un parallelismo che si evince anche a livello di una fotografia polverosa, satura e dalle tinte ocra (che si “ripulisce” e schiarisce nei flashback pre-apocalisse) e che costituisce solo il più evidente dei continui e gustosissimi riferimenti alla cultura pop che faranno impazzire cinefili e non.

MONTAGNE RUSSE APOCALITTICHE 

La serie si presenta come un assurdo e grottesco giro sulle montagne russe che non disdegna derive gore e violentemente splatter, un distopico trip allucinogeno dal ritmo incalzante. Un ritmo che la serie non riesce a mantenere per tutto il corso degli episodi, ritrovandosi in alcuni momenti a girare a vuoto, quando la “solita” idea geniale viene soppiantata da qualche clichè un po’ posticcio.
Ma queste piccole sbavature non deturpano un prodotto che, con una naturalezza invidiabile, punta il tutto per tutto su una rappresentazione emancipatoria e diversificata di personaggi capaci di infrangere stereotipi di genere, etnia ed estrazione sociale in un caleidoscopio di interessanti spunti di riflessione su temi caldi quali omofobia, razzismo, immigrazione, sovranismo, femminismo ed egualitarismo. Non tutti questi spunti vengono parimenti sviluppati e, ancora, la serie evita in alcuni passaggi di rischiare ed esporsi tanto quanto in altri, senza però perdere di credibilità.

Daybreak non si prende e non vuole prendersi sul serio, ma sotto una facciata caciarona e spudoratamente comica, nasconde un sottotesto tutto da scoprire. Pronti a imparare a sopravvivere all’apocalisse al fianco di una banda di disperati, le cui assurde disavventure strapperanno un sorriso anche allo spettatore più austero? Di sorridere, ne abbiamo tanto bisogno.