di Clementina Salamina

30 aprile 1945, Adolf Hitler si suicida nel suo bunker, teatro dei suoi ultimi 105 giorni di vita.
7 novembre 2020, Donald Trump viene sconfitto da Joe Biden, che ottiene i 270 grandi elettori necessari, e si rifiuta di lasciare la Casa Bianca, palcoscenico dei suoi arrovellamenti e angosce durante i quattro giorni di spoglio. Si leverà la vita in un modo più spettacolare e atroce?

Seppur fuor di ironia e compiendo le dovute distinzioni, una certa somiglianza tra le due situazioni si palesa agli occhi di chi non può definirsi un intellettuale esperto di geopolitica.

Fra il famigerato muro in Colorado, stato che magicamente si sarebbe spostato al confine con il Messico in uno schiocco di dita, e l’originale consiglio di iniettarsi disinfettante nelle vene per contrastare il Coronavirus, l’ex (se solo lo accettasse) presidente degli Stati Uniti è stato spesso giudicato farneticante, incompetente e in alcuni casi anche… pazzo.
Il rabbioso accanimento che continua a dimostrare nel portare avanti ad ogni costo strampalati ricorsi per smentire la vittoria di Biden sembra in effetti confermare tale pubblica opinione.

Ma da chi è formulata questa pubblica opinione? Ogni volta che si sente parlare di Donald Trump si ha la sensazione che tutti lo reputino pericoloso e ignorante. Ma i 73 552 264 voti che gli sono valsi 232 grandi elettori, dunque, da dove arrivano?

Per quanto la vittoria di Biden sia notevole e per quanto Trump sia il primo presidente dal 1992 e il quarto dal Dopoguerra a non essere stato rieletto per il secondo mandato, la sconfitta non è certamente schiacciante: il divario è di circa 6 milioni di elettori.
73 milioni di cittadini hanno votato per Donald Trump, affermando implicitamente di aver apprezzato il suo lavoro nei quattro anni di mandato. Si presenta così agli occhi della popolazione mondiale un’America spaccata in due: lungo le coste i voti si dirigono verso il partito democratico, più nell’entroterra invece verso il partito repubblicano.

Mai come in questo periodo storico i politici sono proiezione del popolo, specchio degli abitanti, espressione del loro malcontento, paura e rabbia.
Non più classe dirigente, ma classe meramente portavoce di istanze, in una visione distorta della democrazia, che non è più governo (sovranità) del popolo, ma popolo al governo.

Chi il giorno prima a stento si recava ad esercitare il proprio diritto di voto, ventiquattro ore dopo pretende di potersi candidare pur non avendone le competenze, a parte essere una famosa star dei Reality Show. È innegabile che non tutti siano in grado di amministrare un sistema in modo efficace, dal piccolo paesino di montagna a una delle più grandi potenze mondiali.

Il pericolo che deriva dalla distorsione della democrazia è infatti la possibile perdita di quest’ultima: del resto Platone affermava che la tirannide non fosse altro che la degenerazione della democrazia. In parte è ciò che forse sta accadendo in questi giorni: un maldestro tentativo di presa di potere da parte di Trump attraverso il blocco dell’accesso a Biden ai ministeri, azione che rallenterà fra le varie problematiche, nonostante l’urgenza pressante, il fronteggiare la pandemia e l’agognata distribuzione del vaccino per il Covid-19.

La democrazia negli USA sembra mancare quindi di un dispositivo di autodifesa: possibile che sia in grado di autosabotarsi in questo modo, che un solo individuo possa essere il granello di sabbia che fa inceppare il meccanismo? Il sogno americano, gli Stati Uniti come patria della libertà, la terra dalle mille possibilità, sembrano infrangersi sotto il peso delle tante contraddizioni e separazioni.

Eppure un modo per preservare la democrazia esiste: l’unità. Non intesa come una nociva mancanza di opposizione, ma come clima di collaborazione e ascolto reciproco, non solo negli Stati Uniti di America, ma in ogni angolo del mondo.

Utopia? Forse. Ma tendere a quest’ideale di autoperfezionamento è l’unico atteggiamento possibile per salvarci.

Se si intende perseguire lo slogan “Make America great again”, si tenda prima a “Make America united again”. Nella speranza di un nuovo illusorio grido: “Make the world united again”.