di Clementina Salamina

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione Italiana garantisce l’uguaglianza sostanziale tra i cittadini per assicurare il pieno sviluppo della persona, ovvero la possibilità di ogni individuo di esprimere al massimo le proprie potenzialità e di contribuire in tutti i settori alla crescita del Paese in sinergia con gli altri lavoratori.
Il coinvolgimento del singolo cittadino all’interno dello Stato attraverso il lavoro è infatti il fulcro della società: per far sì che quest’ultima possa sopravvivere, crescere e migliorare, è necessario, se non vitale, che ogni suo componente dia il proprio contributo, sfruttando al massimo livello le proprie attitudini.

Tutti i mestieri sono essenziali per il funzionamento del complesso sistema economico e, in ultima analisi, per l’intera umanità. Nel momento in cui una professione, qualunque essa sia, non viene esercitata con competenza, consapevolezza e dedizione, il meccanismo si inceppa, fino a collassare eventualmente se queste mancanze sono troppo diffuse.

Ogni lavoratore, pertanto, è legato indissolubilmente al lavoro dei suoi colleghi e dei suoi concittadini. Nessun uomo è un’isola. Se il direttore di un’azienda non dovesse svolgere in modo scrupoloso il proprio lavoro, l’impiegato potrebbe ritrovarsi, suo malgrado, a raccogliere i propri oggetti dalla scrivania e deporli in una scatola.
D’altra parte, se un contadino non curasse al meglio il proprio raccolto, a quello stesso direttore verrebbero negati dei beni di prima necessità.

Ciascun lavoro contribuisce allo sviluppo della società, pertanto la mera distinzione tra professioni e mestieri di serie A e di serie B non soltanto sembra risentire di un’impostazione classista, ma denota soprattutto una scarsa consapevolezza dell’importanza dei servizi considerati basilari, di cui non sarebbe possibile usufruire se una parte dei cittadini non vi dedicasse tempo e dedizione.

Invece di distinguere tra lavori di diversi livelli, sarebbe più opportuno distinguere i diversi livelli di predisposizione di ogni individuo per ciascun lavoro. Ogni persona ha diverse attitudini – maturate anche nel percorso scolastico – e per questo motivo può essere più adatta a svolgere una determinata attività, a prescindere dalla condizione sociale ed economica della famiglia d’origine.

Per assicurare che l’individuo abbia accesso al lavoro per il quale manifesta maggiore propensione, lo Stato deve impegnarsi quindi ad abbattere eventuali ostacoli che non rendono possibile ciò. In particolare, l’articolo 34 della Costituzione Italiana afferma: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”.

Questa norma si concentra principalmente sul caso di un individuo che voglia intraprendere un percorso di studi per poter svolgere il lavoro più adatto alle sue attitudini pur non avendone i mezzi economici. Potrebbe essere riassunta con il celebre verso di una nota canzone di protesta sessantottina “Anche l’operaio vuole il figlio dottore”, simbolo della legittima speranza di un valido ascensore sociale, la cui forza motrice però è l’indispensabile merito.

Per converso, in alcuni casi, una volta completato il ciclo di istruzione obbligatoria che dovrebbe assicurare una cittadinanza attiva e responsabile da parte della persona, un ragazzo potrebbe manifestare attitudini che non prevedano necessariamente la continuazione della carriera accademica. L’operaio più abile della città è sicuramente molto più utile alla società dell’ingegnere più insoddisfatto e negligente. “Anche il dottore vuole il figlio operaio”, sarebbe bello poterlo dire, parafrasando il verso originale. Sarebbe infatti auspicabile che in ogni ambito lavorativo vi fossero i professionisti più determinati, predisposti e selezionati in base al merito e che questo fosse il principale indirizzo dato ai giovani.

Se ad ogni mestiere venisse riconosciuto il suo effettivo valore e ciascuna professione fosse svolta da persone dotate di capacità e inclinazione per il proprio lavoro, la società funzionerebbe certamente in modo più efficiente (ed efficace).

Indubbiamente il riconoscimento del merito è ancora più vitale nei casi analizzati nell’articolo 34 sopra citato, in quanto è evidente la maggiore difficoltà da parte di chi non ha i mezzi necessari a seguire le proprie attitudini.
È come se in una gara di corsa qualche concorrente partisse dieci metri più indietro rispetto agli altri: potrebbe essere il più veloce di tutti i corridori, ma forse non riuscirebbe comunque a superare la linea d’arrivo per primo. L’equità e l’uguaglianza si distinguono proprio in questo: l’uguaglianza corrisponde a far iniziare a correre tutti al suono dello sparo, l’equità a far percorrere a tutti la stessa distanza.

Ma com’è possibile raggiungere quest’equità? Soltanto attraverso degli investimenti a lungo termine, sì umani, ma soprattutto economici, sul futuro. Futuro che non è un concetto astratto, lontano, etereo, ma che è una strada che verrà lastricata dalle nuove generazioni, che non possono e non devono trovarsi in una situazione disastrosa a riparare i danni arrecati da coloro che li hanno preceduti.

Si investa nella scuola, culla delle nuove menti, nell’università, per accendere e far diventare realtà le aspirazioni e le passioni dei giovani, e nella formazione continua, per permettere che lo sviluppo della persona sia senza sosta. Si investa in ciò che verrà.