Da sempre il razzismo ha rappresentato il lato oscuro dello sport che dovrebbe essere la massima espressione di multiculturalismo, integrazione e rispetto tra gli uomini.

Uno dei suoi obiettivi è quello di abbattere i muri della discriminazione e costruire rapporti umani che superano ogni tipo di rivalità e differenza sociale e culturale. Nonostante ciò, è proprio il mondo dello sport ad essere scenario di episodi razzisti nei confronti di giocatori, arbitri e intere squadre. La causa di questa piaga sociale è sicuramente l’ignoranza degli uomini che sembrano mettere da parte i valori di “lealtà sportiva e confronto agonistico puro” e sostituirli con quello di “discriminazione culturale o religiosa o, perfino, razziale”. Un esempio recente è il divieto da parte della Malaysia ai nuotatori israeliani di poter partecipare alle qualificazioni per le Paralimpiadi di Tokyo 2020 per motivi politici e religiosi. Dovrebbero essere proprio i “grandi” della politica a dare il buon esempio, ma alcune volte sembra non essere così. Ovviamente questo fatto ha suscitato la reazione di altri Stati che non hanno accettato e condiviso la scelta della Malaysia, tra cui l’Italia che tramite Luca Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico Italiano, ha espresso il suo disappunto affermando che il compito dello sport è costruire ponti e non barriere e, perciò, si è alla ricerca di un nuovo posto disposto ad accogliere la manifestazione con lo scopo di eliminare qualsiasi tipo di discriminazione. Eventi di questo genere accadono anche nel calcio, perfino nel settore giovanile, in cui i tifosi offendono con commenti razzisti i giocatori della squadra avversaria o l’arbitro. Nonostante esistano delle leggi relative all’uguaglianza, come l’articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (che vieta qualsiasi forma di discriminazione) molte persone, oltre a non condividere i principi di fratellanza, multiculturalismo e integrazione, non colgono l’obiettivo fondamentale dello sport, il sacrificio e il lavoro che stanno dietro ogni singolo atleta e con una frase con contenuti razzisti, che a loro può sembrare solo provocatoria, rovinano un momento di felicità e spensieratezza allo sportivo. E’ inconcepibile che nel 2019 esistano ancora episodi di violenza o di razzismo, menti chiuse e persone non sensibili alle esperienze discriminatorie del passato che hanno causato le Grandi Guerre e che continuano ad essere la causa di molti episodi di intolleranza culturale e religiosa. E pensare che spesso a fare questo sono quelli che non hanno mai giocato o che vivono nella frustrazione per non essere i CT della Nazionale o non essere i papà dei CR7 del 2030. Il mondo dello sport, però, non deve essere influenzato da ciò, anzi, deve continuare a ricoprire il suo ruolo di ponte tra tutte le etnie e correnti di pensiero e far sì che il suo messaggio arrivi a chiunque, a partire dai politici per finire con i giovani atleti e i tifosi.