di Marta Giannotta

Juventus-Dinamo Kiev (2 dicembre 2020) è stata una partita memorabile non solo per la prestazione bianconera, questa è destinata ad essere una data storica perché per la prima volta è stata una donna ad arbitrare una partita di Champions League maschile.

Si tratta di Stephanie Frappart, un arbitro francese di 37 anni, la cui prima comparsa nel mondo del calcio maschile risale al 2014 nella Ligue 2 francese. 
La sua attività inizia con il calcio femminile e trova il picco nel 2015 quando partecipa al Mondiale, successivamente alle Olimpiadi del 2016 e al campionato europeo nel 2017. 

Il calcio è da sempre considerato uno sport prettamente maschile e vedere una donna che ci giochi o che addirittura arbitri partite di un certo spessore non è facile da concepire per chi ancora nel XXI secolo guarda con diffidenza il gentil sesso che si destreggia con un pallone di cuoio.

La concezione maschilista del calcio, oltre che su stereotipi di genere, si basa anche su differenze anatomiche tra maschio e femmina. È infatti risaputo che l’ampiezza dell’angolo Q, vale a dire l’angolo tra il muscolo quadricipite e il tendine rotuleo, delle donne abbia una maggiore inclinazione che comporta un aumento del valgismo del ginocchio (ossia uno spostamento laterale della rotula) con conseguente predisposizione agli infortuni dei legamenti ginocchio-caviglia. Un altro fattore è la grandezza del ventricolo sinistro del cuore che, essendo più piccolo nelle donne, potrebbe determinare difficoltà cardiovascolari e respiratorie dettate dalla minore massa di sangue – e quindi di ossigeno – trasportata ai muscoli durante l’attività.

Durante la partita di Champions i giocatori scesi in campo hanno risentito, seppur inconsciamente, della presenza femminile; lo si è potuto notare dall’atteggiamento più cordiale e meno aggressivo durante il match dovuto ad un velo di soggezione nei confronti della donna arbitro.
È necessaria una presenza femminile per ricordare agli atleti il senso del Respect sposato dalla UEFA?