di Margherita Leone

Nell’ormai lontano 1996, nasceva la saga senza tempo di Mission impossible, con protagonista il formidabile agente segreto Ethan Hunt, interpretato da Tom Cruise, che appassionatosi al progetto, decide di entrare a far parte del cast di produzione di “mission impossible: dead reckoning”, il più recente film della serie. 

Ethan, in questa missione, lotta contro una minaccia diversa rispetto alle precedenti: a incombere spaventosamente, è un’intelligenza artificiale, pronta a sottrarre la realtà e restituirla plasmata in ogni sua forma.

Il tema trattato nella pellicola potrebbe sembrare un semplice rifermento all’emergente avvento dell’intelligenza artificiale (IA) nell’uso quotidiano, eppure Tom Cruise, si serve del nemico del film per poter esprimere una profonda critica verso l’uso inconsapevole e spropositato delle IA, che a partire dagli anni 2000, sono spopolate nel mondo del cinema (nota tra tutte, è la CGI), rendendo facilmente possibile la realizzazione di scene considerate molto complesse da un punto di vista tecnico.

Cruise, probabilmente sentendosi minacciato da queste nuove tecnologie, elabora una critica sottile e intelligente presente all’interno del film: lui infatti, in un film d’azione nel quale il ruolo fondamentale è svolto da un’intelligenza artificiale, ironicamente, decide di non servirsi neanche per la più breve delle riprese, della tecnologia in questione, dimostrando così che per realizzare un buon prodotto cinematografico, a prescindere dal suo genere, non è necessario l’utilizzo di effetti speciali che finiscono per privarlo della sua essenza originaria di rappresentazione della realtà. 

Dunque, Tom Cruise decide di buttarsi da una montagna, di simulare un combattimento su un treno in corsa e di compiere tante altre imprese, per dare prova del fatto che il cinema del passato, privo di effetti speciali, è capace ancora oggi di coinvolgere, emozionare e stupire lo spettatore.