di Gaia Naccarelli

Il percorso di formazione della redazione di LeCosimò continua con un incontro insieme ad Erica Fiore.

Erica è una giovane donna di 30 anni che desidera lavorare nel mondo del giornalismo sin da quando era solo una ragazzina: da bambina si divertiva ad intervistare la sorella in una immaginaria festa di paese e dopo essere stata “una piccola stagista dell’Università del Salento” è riuscita a coronare il suo sogno entrando a far parte della redazione di Telerama (un’emittente televisiva del Salento).

Il giornalismo locale ha permesso ad Erica di avere la consapevolezza e l’opportunità di fare la differenza: un giornalista che opera nel “piccolo” del suo territorio non si limita a riportare i fatti ma ha la possibilità di sposare una battaglia per risolvere veramente delle problematiche, è in queste situazioni che emerge il vero senso del giornalismo. Se la propria terra soffre per qualcosa, è compito del giornalista, che ha preso a cuore la causa, “intervenire” con i propri mezzi. L’informazione locale ha infatti il potere di sollevare polveroni immensi anche con un solo breve articolo di inchiesta, qui sorge il problema. 

“Il giornalismo ha perso coraggio” dice la signora Fiore che si rifiuta di svolgere il proprio compitino fornendo ai lettori solo la notiziuola del giorno, non esiste un buon articolo senza graffi. Eppure al giorno d’oggi sono sempre meno le testate che continuano a fare inchiesta, Erica ha sperimentato sulla sua pelle che più si resta in pochi più diventa dura. È con un po’ di inquietudine che la giornalista rivela come la malavita le abbia ricordato il prezzo della verità, si è trattato dell’unico momento di crisi durante la sua carriera ma la vocazione ha avuto la meglio.

È la stessa Erica a definire il proprio mestiere una vocazione nonostante ammetta di non avere una vita tranquilla: nel suo lavoro è importante la reperibilità h24, non si sa mai quando la notizia potrebbe bussare alla porta. Si sa, il giornalismo televisivo è più cavilloso di quello cartaceo: Fiore racconta dei corsi di dizione, degli esercizi con il diaframma, della continua cura dell’immagine… ci vuole tanta pazienza e tanto fegato.

Non è la testata per cui si lavora a determinare la bravura di un giornalista e non sono i pregiudizi legati a questo mestiere a determinare l’odierna debolezza della libera informazione. C’è un foglio bianco e qualcuno che in trenta minuti deve riempirlo, costerà più la verità o il diritto dei lettori ad un’adeguata informazione?