In via Libertini attiguo alla chiesa di Santa Teresa si trova l’ex Convento dei Carmelitani Scalzi, giunti a Lecce nel 1620.

Ma chi erano i Carmelitani?

I Carmelitani sono nati, verso la fine del XII secolo, da un gruppo di laici, pellegrini e crociati, che, desiderosi di raggiungere un’autentica pace interiore, lontano dalle guerre, si ritirarono sulla montagna del Carmelo, nell’antica Palestina (ora Israele), per adottare uno stile di vita eremitico, in opposizione al movimento monastico. Questi primi Carmelitani si dedicarono all’orazione ed alla meditazione della Parola di Dio.

La mancanza di sicurezza in Terra Santa fece sì che i Carmelitani cominciassero ad emigrare verso l’Europa e a rinnovarsi nel tempo fino a passare dalle origini eremitiche dell’Ordine del Carmelo alla forma di vita mendicante, sviluppando la devozione al profeta Elia e la pietà mariana, che li farà identificare come l’Ordine della Vergine, denominato esattamente “Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”.

I Carmelitani Scalzi (o Teresiani) sono un’articolazione dell’Ordine dei Carmelitani che riconosce Santa Teresa d’Avila come madre e fondatrice. Più precisamente, derivano dalla riforma introdotta in Spagna nel 1562 da Santa Teresa per le Carmelitane del monastero di San Giuseppe d’Avila, poi estesa al ramo maschile dell’Ordine Carmelitano ad opera di San Giovanni della Croce con la fondazione di un piccolo convento a Duruelo nel 1568.

Santa Teresa volle, infatti, che “nascesse un nuovo stile di vita religiosa”, pur sempre fedele alla Chiesa ed ai Santi Padri Eremiti del Carmelo, all’insegna della tradizione e del rinnovamento, con una maggiore fedeltà ai principi dei Carmelitani ed una particolare predilezione per una vita più distaccata dai beni ed incentrata sull’educazione dei nuovi membri. 

I Carmelitani Scalzi furono riconosciuti prima come provincia e poi come congregazione all’interno dell’Ordine Carmelitano, fino a separarsene per divenire un Ordine autonomo nel 1593, quello dei Carmelitani Scalzi (detti pure Teresiani), da tenere distinto da quello dei Carmelitani dell’Antica Osservanza (detti anche “Calzati”), ciascuno con una propria Costituzione ed una propria organizzazione. 

A differenza di altri Istituti, quello dei Teresiani è stato l’unico Ordine che ha avuto per fondatrice una donna ed è stato l’unico in cui il ramo femminile ha preceduto quello maschile. 

I Carmelitani Scalzi si divisero poi, a loro volta, in due Congregazioni: di San Giuseppe in Spagna e di Sant’Elia in Italia. Quest’ultima assunse subito un carattere missionario e si diffuse rapidamente nel ‘600 in tutta Europa: nel 1650 già si contavano oltre 2300 frati professi e 149 conventi, oltre a circa 100 missionari sparsi tra Oriente (Persia, India, Arabia, Libano ecc.), Inghilterra e Paesi Bassi. 

Le due predette Congregazioni dei Carmelitani Scalzi furono unificate nel 1875 su disposizione di Papa Pio IX

Ancora oggi i Carmelitani Scalzi sono presenti in tutto il mondo, con oltre 600 case e 4000 religiosi. 

I Carmelitani Scalzi a Lecce

La presenza dei Carmelitani a Lecce era già attestata alla fine del Quattrocento, quando si stabilirono in un convento fuori le mura, con una piccola chiesa annessa; nel 1546 fecero costruire un nuovo convento all’interno della cerchia muraria lì dove oggi ha sede il Rettorato dell’Università del Salento, in Piazza Tancredi, con a fianco la Chiesa del Carmine. 

I Carmelitani Scalzi, invece, giunsero a Lecce nel 1620. 

A quel tempo Lecce era già da oltre un secolo sotto la dominazione spagnola ed era considerata la città più importante del Regno di Napoli dopo la stessa Napoli. Già nel ‘500 veniva chiamata la “picciol Napoli”, tanto era divenuta ricca di monumenti, di chiese e di palazzi aristocratici e tanto era considerata importante sul piano politico ed economico. Importante perché, innanzitutto, strategica per la posizione geografica, in una terra di frontiera sul versante orientale del Mediterraneo, che fungeva da “porta d’Oriente” e, quindi, da avamposto da difendere in ogni modo dalle minacce di turchi e barbareschi (torri costiere, masserie fortificate, castelli). Non solo: importante anche perché crocevia dei traffici commerciali verso l’Oriente lungo la rotta dell’Adriatico. Qui non a caso confluivano mercanti da ogni parte (genovesi, fiorentini, milanesi, veneziani, ragusèi, albanesi, ebrei e così via). In questo contesto così vivace, con il favore del buon clima mediterraneo, si insediarono a Lecce tanti ordini religiosi, arricchendo la città di uno straordinario fervore di spiritualità. Soprattutto dopo il Concilio di Trento del 1545, il loro ruolo si rivelò fondamentale per consolidare anche a Lecce l’attuazione della Controriforma. Fu così che Lecce divenne una “città chiesa” ed una “città convento”. Si contavano, agli inizi del ‘600, oltre 70 edifici religiosi tra chiese e cappelle ed una ventina di conventi, alcuni pure fuori le mura, appartenenti ai più diversi ordini religiosi, sia maschili che femminili (Benedettine, Francescani, Celestini, Domenicani, Francescane, Domenicane, Agostiniani, Olivetani, Carmelitani, Paolotti, Paolotte, Gesuiti, Teatini, Cappuccini, Cappuccinelle e così via).

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Nel 1620 arrivarono a Lecce pure i Teresiani (Carmelitani Scalzi), sotto la guida del genovese Padre Antonio Clemente di Gesù Maria. Anche loro vollero stabilirsi in questa città con una propria chiesa ed una propria dimora conventuale, la seconda in ordine di tempo dopo quella di Napoli (1602). 

La presenza a Lecce, nel 1620, dei Teresiani, notoriamente dediti alla preghiera, alla meditazione ed al servizio pastorale (predicazione, catechesi, lavoro ecumenico), ispirò la generosità dell’Abate e Canonico della Cattedrale di Lecce Annibale Mercurio, il quale volle donare loro la sua casa in un’area centralissima della città. Fu così che, grazie alla munificenza di questo benefattore ed alle donazioni di ricchi aristocratici (come Giovan Battista Maramonte, Giuseppe Paladini, il duca di Minervino della famiglia Scaglione), nonché di magistrati e di funzionari civili e militari spagnoli, sul luogo di questa casa e sul sito di due antiche cappelle dedicate a San Niccolò e a Santa Venera, i Teresiani potettero far costruire la Chiesa di Santa Teresa e l’annesso Convento. Probabilmente i lavori furono affidati alla direzione di quel grande artefice del barocco leccese che fu Giuseppe Zimbalo (ha firmato uno degli altari della chiesa, il terzo a sinistra; si riconosce il suo stile sulla facciata della chiesa stessa; compare per i Teresiani come testimone in un atto notarile del 1646 di cui parleremo in seguito).

Il complesso occupò l’intero isolato che prima era noto come “Isola di Santa Venera” e che poi assunse il nome di “Isola delli Scalzi” e successivamente di “Isola di Santa Teresa”. 

In realtà, i lavori di costruzione subirono all’inizio una battuta d’arresto a causa di un contrasto sia con i vicini Domenicani, probabilmente invidiosi della maggiore centralità del complesso dei Teresiani (addirittura nelle cronache coeve di Andrea Panettera sta scritto che i Padri Domenicani fecero demolire la primissima costruzione dei Teresiani tra le ore 5 e le ore 9 dell’11 ottobre 1620), sia con gli Agostiniani che impedirono ai Teresiani di intitolare la loro chiesa a Santa Maria di Costantinopoli, poiché gli Agostiniani stessi avevano già dedicato una loro cappella alla Vergine di Costantinopoli all’interno della propria chiesa. Per tale motivo i Teresiani intitolarono poi la Chiesa alla fondatrice dell’Ordine, Santa Teresa d’Avila, che nel frattempo, e precisamente il 12 marzo 1622, era stata canonizzata. 

Andrea Panettera, da cronista di quel tempo, per la verità, ha annotato il 10 gennaio 1627 come la data in cui fu benedetta la prima pietra. 

Nel 1634 la costruzione del complesso doveva essere già in una fase avanzata, visto e considerato che Giulio Cesare Infantino ha avuto modo di farne cenno nella sua “Lecce sacra” (una delle primissime opere stampate a Lecce, che costituisce una pietra miliare negli studi sulla storia di questa città).

Ed è proprio l’Infantino a riferirci che in questo Convento si insediarono venti Padri che con “singolare esempio” vivevano sotto l’osservanza della “primitiva Regola della Santissima Vergine Maria di Monte Carmelo data loro da S. Alberto Patriarca Gierosolimitano, secondo la Riforma de’ Scalzi di Santa Teresa”. 

Pochi anni dopo, e precisamente nel 1631, si insediarono a Lecce pure le Teresiane scalze nell’area del Palazzo a loro donato da Belisario Paladini, un ricco aristocratico leccese, nella quale fecero costruire la chiesa della Madre di Dio e di San Nicolò (la chiesa comunemente conosciuta come la chiesa delle “Scause”) assieme ad un convento (oggi occupato dalle Suore Salesiane dei Sacri Cuori di San Filippo Smaldone). 

Ritornando ai Teresiani, è certo che nel 1646 l’edificazione sia della Chiesa che di questo convento non fosse ancora completata. Apprendiamo, infatti, da un atto del notaio Giovan Francesco Gustapane del 12 maggio 1646 (segnalato dal noto storico locale Nicola Vacca) che la loro costruzione fosse allora in via di definizione (si tratta dell’atto con il quale la prima cappella a sinistra dell’altare maggiore della Chiesa fu concessa dal Priore e dai Monaci a favore del Signor Giovan Battista D’Amore, magistrato di origine spagnola presso la Regia Udienza di Terra d’Otranto. In tale atto intervenne come testimone Giuseppe Zimbalo, ad ulteriore riprova del fatto che dovette essere proprio lui l’architetto incaricato della costruzione dell’intero complesso).

Il rallentamento dei lavori di edificazione di tale poderoso complesso, al di là dei contrasti iniziali con i Domenicani e con gli Agostiniani, dipese quasi certamente non solo dall’imponenza delle opere edili, ma anche dalla non favorevole congiuntura economica e sociale. Infatti, fu quello un periodo difficile per tutti, in quanto, a causa di una forte crisi cerealicola, commerciale e finanziaria, la popolazione fu decimata (si passò dai 33.000 abitanti di fine ‘500 a circa 12.500 abitanti negli anni ‘40 del ‘600). A ciò si aggiunse pure una forte pressione fiscale. L’esasperazione dei cittadini, al culmine per via di una nuova gabella sulla farina, sfociò addirittura, nel 1647, in una rivolta popolare anti spagnola ed antifeudale, scoppiata con l’assalto ai mulini, sull’onda di quella napoletana di masanelliana memoria (luglio 1647), poi sedata con le armi. 

Questo, dunque, il contesto non facile in cui dovettero operare a Lecce i Teresiani nei primi decenni dal loro insediamento nel 1620.

La comunità leccese dei Teresiani divenne comunque sempre più numerosa e fu attiva fino alla fine del ‘700. Nel 1800 fu costretta ad ospitare più di cento soldati moscoviti (corsi in aiuto al re Ferdinando IV di Borbone in seguito all’occupazione francese del Regno del 1799) e poi, nel 1806, durante il periodo napoleonico, anche militari francesi, cisalpini e polacchi delle truppe di passaggio da Lecce.

Tutto questo finché nel 1807 non fu avviata la soppressione degli ordini religiosi, per disposizione del re Giuseppe Bonaparte (fratello di Napoleone), dopo che, l’anno precedente, il Regno di Napoli era caduto nelle mani dei Francesi ed il Re Ferdinando IV di Borbone era stato costretto a migrare a Palermo.

L’esecuzione di tale decreto di soppressione, per il complesso dei Teresiani, avvenne precisamente il 5 novembre 1807 e, di conseguenza, la loro chiesa ed il loro convento da quel momento furono abbandonati ed incamerati nel patrimonio demaniale del Regno.

Lo stesso destino toccò agli altri immobili religiosi presenti a Lecce (ad eccezione della Chiesa e del Monastero delle Benedettine). E così tali edifici, ormai confiscati dallo Stato, furono con il tempo modernizzati, spesso ristrutturati e convertiti in nuove istituzioni, come Caserme (Convento delle Cappuccinelle = Guardia di Finanza), Scuole ed altri Uffici Pubblici (Convento dei Celestini = Intendenza di Terra d’Otranto). 

Quindi, dopo la soppressione, anche questo Convento ha subìto numerose trasformazioni, che ne hanno stravolto l’impianto seicentesco, attestato in un inventario dell’11 aprile 1808: allora erano ancora riconoscibili gli ambienti originari, come, al pianterreno, i magazzini, le officine, la cucina, il refettorio e due giardini di cui uno nel chiostro e l’altro vicino alla cucina, pieni di agrumi e di altri alberi da frutto e, al piano superiore, le celle singole, un coro per pregare di notte ed un dormitorio.