Di ritorno dal “Pellegrinaggio laico” nei luoghi che hanno scritto una delle pagine più nere della storia nel corso del Secolo Breve, gli studenti del De Giorgi hanno scritto cosa hanno letto in quelle pagine. Grazie al Treno della Memoria è stata data la possibilità di vedere, di ascoltare, di riflettere non solo sulla Shoah, sullo sterminio del popolo ebraico, ma anche su tutte quelle volte che un Caino ha alzato la sua mano su Abele.

Camminare tra le baracche di Auschwitz, su ciò che resta a Birchenau o sulla neve di Plaszów ha permesso di vedere come, in un certo momento storico, l’uomo sia riuscito a pianificare una minuziosa “catena di s-montaggio” dell’identità e della dignità di milioni di altri uomini. E questo è fare memoria; ricordare in modo che non succeda più.


Il grande dubbio

Ore 23:00. Solo adesso mi sono ripreso dalla spossatezza dell’estenuante viaggio di ritorno da Cracovia. Mi sembra impossibile mettere nero su bianco tutte le emozioni provate durante questa esperienza. Sono partito sicuramente con la conoscenza storica della tragedia che è stata l’Olocausto, ma non ero affatto preparato a rievocare così da vicino la sofferenza, la paura e il senso di impotenza delle vittime della ferocia nazista. Ferocia che non si è riversata soltanto sul popolo ebreo, ma anche su tutti coloro ritenuti indesiderabili o inferiori, quindi non appartenenti alla razza ariana. Fra questi era compreso lo stesso popolo polacco, del quale il regime tentò di oscurare l’identità culturale. Infatti mi ha colpito molto, durante la visita guidata della città, il racconto della guida che ricordava come gran parte dei monumenti e del patrimonio artistico polacco sono stati distrutti su ordine di Hitler.
Ripercorrere ad Auschwitz e Birkenau i passi di milioni di vite senza identità, privati della loro umanità mi ha fatto provare disgusto nei confronti dell’essere umano capace di azioni sadiche e inconcepibili verso i propri simili, mascherate dalla menzogna di atti ritenuti come necessari. Quella mattina non mi sentivo bene, avevo un forte mal di gola. Faceva freddo, un freddo che ti entrava nelle ossa nonostante l’abbigliamento pesante. È in quelle ore, sotto la neve, che si è fatto strada un dolore più forte di quello fisico, il dolore nell’anima, un senso di vuoto che mi faceva girare la testa. Ho sentito il peso di quello che hanno provato le persone deportate, vestite di stracci, denutrite, costrette a lavorare e a vivere in condizioni igieniche praticamente inesistenti. Persone che forse non immaginavano ciò che stava per succedere, che speravano forse di salvarsi, di ritornare nelle proprie case e ricongiungersi con i propri cari. Non potevano immaginare l’orrore a cui andavano incontro. Nel momento della commemorazione pomeridiana finale a Birkenau, durante la quale ciascuno di noi doveva leggere al microfono il nome di una delle vittime, nel momento in cui pronunciavo il nome di una deportata da me scelto tra i tanti, Emma Brand, ho sperato che almeno dopo la morte lei avesse trovato un po’ di pace. Ho pensato che è indispensabile non dimenticare e non accettare con indifferenza, le rinnovate stragi di innocenti, il dolore dei nuovi martiri.
Fanno riflettere le parole che lo scrittore statunitense William Clarke Styron scrive: “La domanda: ditemi dove era Dio, ad Auschwitz. La risposta: È l’uomo dov’era?”.

– – Nicolò

Un nuovo inizio

Finita questa esperienza mi sono accorta di quanto io sia stata fortuna a prendervi parte. Può sembrare a tutti un viaggio triste e fin troppo impegnativo, dato comunque il fine, ovvero visitare Cracovia e farci calare nella realtà di quell’epoca anche attraverso spettacoli teatrali, facendoci estraniare dalla nostra realtà proprio attraverso il viaggio in pullman. Possiamo dire che lo scopo è stato raggiunto, con questa esperienza ho scoperto e capito davvero tante cose. La giornata più intensa è stata quella in cui abbiamo visitato i campi di Auschwitz e Birkenau. Se mi chiedessero cosa io abbia provato sinceramente non saprei cosa rispondere forse tristezza, paura, orrore, ma anche apatia perché non è sempre facile riuscire a metabolizzare immediatamente tutto. Non sono una persona emotiva, ma ci sono stati due momenti che mi hanno veramente scosso: quando ho visto il muro in cui i prigionieri venivano sparati a freddo alla nuca e stare davanti a quel muro mi ha fatto salire un senso di ansia, agitazione e oppressione al petto; un altro momento è stato quando la guida ci ha raccontato la storia di un bambino che è stato ucciso e di cui è rimasta solo la scarpa con il suo nome e cognome scritti dalla madre nella speranza di poterlo ritrovare un giorno, nel caso si fosse perso. Durante la visita non riuscivo a guardare per troppo tempo intorno a me, stavo sempre con la testa e gli occhi bassi, probabilmente ogni cosa mi suggestionava.
Scesa dal “treno” mi sono resa conto che quella non era la fine ma l’inizio: questa esperienza ha cambiato soprattutto la mia visione della storia, dell’uomo e del mondo e cercherò sempre di trasmettere tutto ciò che ho imparato agli altri.

— Anna G. —

Sentirsi piccoli

Scrivo questi righi in ritardo di qualche oretta. Non perché non ne avessi voglia, ma perché non trovavo modo di esprimere in parole l’esperienza vissuta in questi giorni. Fin da quando sono piccola ho avuto la fortuna di viaggiare, di visitare il mondo e ho sempre imparato qualcosa di nuovo da ogni posto in cui sono stata. Ma quella imparata in questi quattro giorni a Cracovia non è una lezione qualsiasi, e credo, e spero fermamente, che la porterò sempre con me.
Il terzo giorno è stato certamente il più “faticoso”: sveglia alle cinque del mattino e poi alle sei e venti si partiva. Direzione: campo di concentramento Auschwitz I e Auschwitz II (Birchenau). Specialmente a Birkenau faceva un freddo terribile. Un vento fortissimo ci arrivava dritti in faccia. Scesa dal pullman, io insieme agli altri, mi lamentavo di quando freddo provassi nonostante i numerosi strati di vestiti termici. Giunta all’ingresso di Birkenau, però, mi sono zittita. Mi sono vergognata di me stessa, come mai in vita mia. Mi sono sentita fortemente egoista: che diritto avevo di lamentarmi del freddo quando in quello stesso freddo milioni di persone, senza nome e senza dignità, hanno trovato ingiustamente la morte. Entro nel campo e mi pervade contemporaneamente un senso di dolore e fortuna. Fortuna perché (so che sembra stupido e banale da dire) ho realizzato che io avevo la certezza che da quel campo ci sarei uscita più tardi. Ero piccola rispetto a quei 171 ettari e rispetto alla storia. Una storia di cui mi vergogno. E mi vergogno ancor di più del fatto che da questo recente passato non abbiamo imparato nulla.
La prima cosa che ho appreso dall’esperienza del Treno della memoria è provare gratitudine, anche per la più piccola cosa, la più banale. Tornata a casa ho realizzato che io ho tutto ciò che mi serve e anche di più, e non perché me lo meriti più di altri. Non ho mai dovuto lottare per tutto questo, non l’ho mai neanche messo in discussione. E forse è questo il motivo per cui mi dimentico di essere estremamente fortunata: perché ho una casa, delle certezze, un nome, una famiglia, dei beni, un futuro, e non immagino neanche che tutto questo possa, un giorno, essermi tolto. Quest’esperienza mi ha permesso di farmi un esame di coscienza, di guardarmi dentro e di tirar fuori tutto ciò che di marcio e sbagliato è in me. Ho appreso che non posso vivere limitatamente alla mia realtà, non posso essere indifferente ai problemi del mondo. Non posso e non voglio far parte della “zona grigia”, così chiamata da Primo Levi. Il Treno della Memoria ha lo scopo di ricordarci ciò che l’uomo ha fatto in passato, perché può benissimo riaccadere, e forse già è così, seppure non vogliamo rendercene conto. Non voglio essere complice di questi orrori con il mio silenzio, e prometto a me stessa che non lo farò, perché il treno, per me, parte da adesso.

— Maria Sole —

Un ‘passaporto’ per una nuova umanità

Questo viaggio, che è giunto al capolinea, non rappresenta un punto di arrivo ma il punto di partenza di un cammino educativo e culturale che deve scuotere gli animi affinché gli errori del passato non si ripetano più. Perché ciò avvenga è necessario comprendere che all’odio e alla violenza, ai pregiudizi e alla grettezza bisogna rispondere con forza e determinazione affinché il mondo non sia più in mano agli stolti. Cambiare rotta è possibile e noi tutti abbiamo l’onere di contribuire a sviluppare un’etica della responsabilità e della salvaguardia dei diritti di ciascuno perché il rispetto dell’altro è l’unico “passaporto ” per una nuova umanità. Ripercorrere in prima persona quei luoghi di barbarie mi ha permesso di intraprendere un viaggio introspettivo finalizzato alla scoperta di me stessa, delle mie emozioni e delle mie più recondite fragilità. Conserverò gelosamente le memorie di questo viaggio in una valigia colma di ricordi e la consapevolezza che “la diversità non è un ostacolo ma è sinonimo di cultura, ricchezza, scambio e crescita” e il nostro dovere, oggi più che mai, sarà quello di divenire cittadini attivi, partecipi costruttori di una società migliore poiché “Historia vitae magistra“.

“Germoglio”

Sbucai d'improvviso
Tra una nivea coltre
Mentre il corpo tremulo
Era ancora stretto a mia Madre
Intorno a me solo freddo
Lapidi, cenere
Frammenti di vita recisa
Tutto fermo, tutto in bilico.
Sogno e realtà
Passato nel presente
Vita nella morte
— Gloria —

Guardarsi dentro

Prima di partire ero consapevole della grandezza e dell’importanza del progetto. Salire sul “treno” per me implicava non solo conoscere la storia che ha portato “l’uomo” a impartire atroci sofferenze ai suoi simili, ma anche a intraprendere un viaggio introspettivo e a conoscere meglio le persone con le quali ho avuto la fortuna di vivere questo percorso.
Mi hanno arricchita molto i momenti di formazione e condivisione, quelli in cui ci confrontavamo tramite il dialogo e quelli in cui, come ad Auschwitz 2, tutti insieme e in silenzio, camminavamo nell’immensità del campo bianco.
Infatti, uno degli obbiettivi principali del Treno della Memoria era quello di attualizzare le cose che vedevamo per dar vita ad un cambiamento in modo da combattere l’indifferenza, ossia la zona grigia, come chiamata da Primo Levi.
I diversi spettacoli teatrali ai quali abbiamo assistito mi hanno fatto capire che, seppure il mondo sia un luogo molto complesso, quello che c’è dentro di noi lo è ancora di più. L’arte teatrale mi ha permesso di guardare una stessa situazione da più punti di vista; quello di un ebreo e un nazista, chi ama e chi uccide la persona che ama per poter sopravvivere, chi spera ardentemente e chi desidera solo buttare acqua su quella piccola fiamma. È molto difficile guardarsi dentro, capire quale sarebbe la nostra reazione di fronte al dolore, alla paura, alla separazione, alla sofferenza o alla morte, ma è anche profondamente necessario. Quest’esperienza è stata necessaria affinché io crescessi, affinché mi sentissi più vicina a tutte quelle donne che, inconsapevoli, erano partite con scarpe eleganti nella valigia e con un piccolo sorriso stampato sulle labbra, come mostrato dalle loro foto con i capelli tagliati corti.
Il treno dunque è partito dalla memoria ma arriva alla costruzione di un futuro dove noi ragazzi che vi siamo saliti faremo di tutto per evitare la zona grigia. Che sia la realizzazione di un sogno, l’aiuto verso un amico bisognoso o la partecipazione alla vita politica della società noi saremo sempre pronti; perché per noi, il viaggio è appena iniziato.

— Kiara —

Il lato oscuro

Finito il viaggio mi ritrovo a pensare a tante cose, i compagni, le esperienze, i luoghi visitati e cosa ho imparato e i miei pensieri non possono non soffermarsi su ciò che più mi ha colpito: la cattiveria. Appena entrato ad Auschwitz ho riflettuto sul motivo che ha spinto essere umani come noi a commettere tali atrocità e subito la cosa che mi è balenata in mente è stata la cattiveria e l’odio, è stato un viaggio nel lato più oscuro dell’essere umano, perché abbiamo tutti un qualcosa di cattivo in fondo e compiere questo viaggio è stato importante perché mi ha portato a capire a quanto la cattiveria umana possa arrivare, è stato un viaggio all’interno di noi stessi per così dire. Ritengo sia importante sottolineare che ciò che è accaduto non può essere cambiato, ma ciò che avvera lo potrà essere e secondo me l’unico scopo di questo viaggio è quello di capire come evitare che in un futuro si ricada negli stessi errori, ricordare per non ripetere; questa esperienza è stata importante proprio perché mi ha aiutato a comprendere meglio il mondo dell’odio e della cattiveria per far sì che un giorno futuro io sia in grado di evitare o per lo meno limitare i danni che nella mia vita saranno scaturiti da certe emozioni. Solo conoscendo la cattiveria e l’odio di può imparare ad essere persone buone e genuine.

— Nicola —

“Io vi ricordo”

Il viaggio della memoria è stata un’esperienza forte e profonda che supera ogni limite di immaginazione.
Quanto studiato sui libri di storia non è assolutamente paragonabile alle sensazioni e alle emozioni contrastanti che si provano visitando i luoghi dello sterminio.
In me rabbia, dolore e sgomento hanno preso il sopravvento mentre camminavo lì dove tanto dolore e tanto orrore è stato arrecato a milioni di persone.
Capire fino a che punto la crudeltà umana si è potuta spingere causa in me un senso di impotenza e dolore.
Camminando sulla neve non ho potuto fare a meno di immedesimarmi in quelle povere persone che hanno percorso lo stesso tragitto ricoperti di nulla, derubate di tutto, della loro libertà, dei loro affetti, ma soprattutto della dignità ed infine della loro vita.
Quello che sicuramente farò d’ora in poi, sarà testimoniare e trasmettere a chi non ha fatto questa esperienza tutto ciò che ho potuto vedere, affinché il ricordo su quanto è successo in un passato non molto lontano resti vivo in ognuno di noi e non si verifichi mai più.
Oggi, tornata a casa, sento di rivolgere un pensiero a tutte le vittime, pregando per loro e dicendo: “Io vi ricordo”.

— Asia Elena —

Restituire la dignità

Dubbi, perplessità e incertezze, questo era ciò che vagava per la mia mente il primo giorno di viaggio. Perché avevo deciso di prendere parte a quest’esperienza? Ero davvero pronta? 
Oggi, alla fine di questo intenso viaggio, sono altre le domande a cui penso: perché? com’è stato possibile? 
Sono questi i quesiti che attraversano il mio cuore e che mi permettono di riflettere su quanto accaduto nei campi di concentramento: persone che trattavano i loro simili brutalmente come se non fossero esseri viventi uguali a loro. E anche se provassi ad immedesimarmi in tutte quelle persone non capirò mai cosa hanno potuto provare realmente e quanta violenza ingiustificata hanno dovuto subire. 
Quella del “Treno della Memoria” è un’esperienza formativa che mi ha offerto un opportunità di crescita personale, infatti prima della partenza avevo già un’idea di ciò che avrei visto nei campi, ma arrivata lì non è stata la stessa cosa di guardare le immagini su un libro di storia.
Durante la visita dei campi, in particolare quello di Birkenau, mi sono sentita stordita a tal punto di non riuscire ad esprimermi per tutta la giornata; mi sentivo impotente e colpevole perchè lungo quelle immense distese di terra io ero un piccolo puntino che non credeva che l’essere umano potesse essere così cattivo e brutale.
La parte del viaggio che mi ha toccata nel profondo è stata la commemorazione finale, durante la quale ognuno di noi ha letto al microfono il nome di un deportato scelto, lasciato la propria impronta digitale su uno striscione e subito dopo acceso un cerino in ricordo di tutte quelle persone che hanno perso la vita in quel luogo. Io continuerò a ricordare una deportata, Renee Cossin, in modo tale da restituirle la dignità di cui è stata privata in passato. 
È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire” (Primo Levi), questa una delle frasi presenti sullo striscione del memoriale, la cito perchè da questo viaggio ne esco consapevole: consapevole di non voler più essere nella zona grigia e consapevole di voler fare una differenza nel mio piccolo. 
Testimone di tanto dolore, spero che lo slogan “Per non Dimenticare” inviti tutti a stare dalla parte giusta, cioè non rimanere fermi ma agire contro la violenza umana.

— Alice —

Fortunata e privilegiata

Sono grata ai miei genitori e alla mia scuola per avermi permesso di partecipare a quest’esperienza unica. Prima di partire avevo paura di tante cose, fra queste la quantità di ore di viaggio in autobus. Al ritorno volevo che il viaggio non finisse mai perché mi ero affezionata a ogni singola persona del mio gruppo. È stata un’esperienza formativa, mi ha aiutata ad acquisire consapevolezza su ciò che è accaduto in passato e su ciò che sta accadendo nei nostri giorni. La cosa che mi ha particolarmente colpita è stata la visita ai campi di Plaszow e Birkenau, dove ho potuto sentire e soffermarmi sul dolore che tantissime persone hanno provato; mi sono resa conto di essere molto fortunata e privilegiata ad avere dei diritti, un nome, una famiglia, gli amici. Il momento della commemorazione nel campo di Birkenau, durante il quale dovevamo leggere il nome di una vittima, è stato molto toccante, io ho scelto di commemorare Józef Cikala, i suoi occhi erano spenti, persi.
Non sono riuscita a metabolizzare tutto subito, era così difficile credere che tutte le cose atroci che sono state raccontate dalla guida si erano verificate realmente e su persone che non avevano nessuna colpa. Ancora oggi non riesco ad esprimere al meglio ció che ho provato e provo ancora. Il mio gruppo mi ha aiutata ad affrontare quelle giornate dalle emozioni così forti, ognuno di loro è stato fondamentale.

— Mariagiulia —

La Libertà di scelta

Da quando sono bambina ho la possibilità, o meglio, la fortuna di girare il mondo, sono stata in tantissimi luoghi diversi che mi hanno permesso di comprendere le diverse culture, tradizioni e origini di quei posti.
Ma questa volta tutto è stato diverso.
Ho preferito mettere nero su bianco quest’esperienza solo dopo averci riflettuto qualche giorno. In questi giorni ho avuto modo di incanalare appieno ciò che questo viaggio mi ha dato modo di scoprire e maggiormente, ciò che mi ha dato.
Tramite esso sono finalmente riuscita a rendermi conto della fortuna che mi circonda ogni giorno, partendo dalla più piccola briciola di fortuna che anche se non ce ne rendiamo conto è presente ogni giorno, fino ad arrivare a quella fortuna che ci permette di essere quello che siamo oggi, e soprattutto chi siamo oggi.
Perché si, dal Treno della Memoria ho appreso che nessuno merita più di essere trattato come un oggetto da usare a proprio piacimento, l’uomo è un essere vivente e ha il diritto di essere trattato come tale.
Ognuno di noi ha la possibilità di scegliere chi essere e deve assolutamente combattere per avere un nome, la libertà, la vita.
Le scelte che compiamo ogni giorno devono essere sempre basate su ciò che noi effettivamente vogliamo, prima di prendere una qualsiasi scelta dobbiamo prima di tutto chiederci “è veramente ciò che desidero?”. Nessuno deve schierarsi da una parte piuttosto che dall’altra solo perché la maggior parte delle persone lo ha fatto, non bisogna avere paura della diversità e dell’essere in prima persona diversi.
Non nego che sia capitato anche a me, soprattutto quando da piccola, di seguire il consiglio di qualcuno senza pensare a quello che volevo fare realmente.
In quelle occasioni, non sapendo quale fosse la scelta giusta da prendere, non avendo mai affrontato una situazione del genere ho sempre preferito “far scegliere ad altri”. Penso che questa sia la cosa più sbagliata che si possa fare.
Le donne, gli uomini hanno lottato per avere quella che oggi viene chiamata “libertà di scelta” e molti noi, adolescenti ma tante volte anche adulti, fanno sì che le loro insicurezze, incertezze e superficialità annullino tutto il lavoro compiuto dai nostri predecessori.
Il nostro compito è uno, uscire dalla “zona grigia” passo dopo passo, non facendoci più influenzare dal giudizio altrui ne sottoponendoci alle decisioni di altri. Perché come abbiamo avuto modo di vedere, l’indecisione e l’indifferenza hanno portato solo alla sofferenza di milioni di persone innocenti e non dobbiamo permettere che ciò riaccada.

— Beatrice —

Un pezzo di me è rimasto lì

La mia più grande paura prima di iniziare questo viaggio era quella di non sentirmi all’altezza di un’esperienza simile, di non sentirmi abbastanza giustificata per visitare quei luoghi, avendo la certezza di poter uscire qualche ora dopo dallo stesso portone da cui i deportati erano unicamente entrati. 
Nel momento in cui ho visitato i campi di concentramento che per anni hanno visto troppe vite umane ridursi a nulla, ho capito che questa sarebbe stata l’esperienza che avrebbe cambiato radicalmente la mia vita.
Vedere i campi di Auschwitz e Birkenau mi ha toccata particolarmente in un modo che mai mi sarei immaginata. Mi ha scossa la quiete con il quale tutto giaceva sotto la neve, lì dove un tempo c’era solo caos e morte, lì dove probabilmente sono presenti le ceneri di milioni di persone uccise. 
La cosa che mi ha maggiormente colpita, anzi letteralmente investita, è stata la “fisicità” di questi luoghi: mi rendevo conto che un tempo quello spazio era stato occupato da uomini e quella stessa aria che respiravo era stata anche la loro. Facevo attenzione a dove poggiavo i piedi, a cosa toccavo, a dove i miei occhi si soffermavano, osservavo il paesaggio che era appartenuto alle loro vite. Chissà, forse dopo il lavoro si perdevano nei loro pensieri, anche solo per un momento, guardando la stessa visuale. Chissà che cosa pensavano, chissà quali erano i loro sogni che sono stati distrutti in un momento, chissà se pensavano a cosa avrebbero voluto fare una volta usciti di lì. 
Ovunque io posassi lo sguardo li rivedevo lì, al freddo e al gelo, scalzi, con solo un pigiama addosso. E mi sentivo quasi in colpa per essere così fortunata ad essere riparata dal freddo con diversi strati di vestiti. 
Il corridoio pieno di foto dei deportati è quello su cui più mi sono soffermata durante la visita: i loro volti parlavano, avevano occhi terrorizzati, alcuni spaesati, altri spaventati, altri ridevano; ridevano nonostante i capelli tagliati, ridevano nonostante il luogo in cui si trovavano, ridevano non sapendo ciò che li aspettava, ridevano per mantenere vivo quel briciolo di speranza che rimaneva. 
Il momento più emozionante per me è stato quello della commemorazione finale, durante la quale abbiamo ricordato tutte quelle persone che  erano state private dei loro vestiti, dei loro familiari, dei loro nomi, delle loro identità, della loro vita, lasciando ciò che di più unico abbiamo su un grande telo bianco: la nostra impronta digitale. 
Visitare un campo di concentramento mi ha permesso anche di essere più consapevole. Consapevole del male che un uomo può fare.
Consapevole delle sofferenza gratuita che un uomo può provare. Una consapevolezza che è giusto acquisire nella vita.
Un pezzo di me è rimasto lì, in mezzo a quello che rimane dell’odio e dell’indifferenza che l’uomo ha provato senza alcuna giustificazione possibile; un’altra parte, più consapevole e grata per quello che ha, l’ho portata con me, pronta a rendersi conto, dimostrandolo, della fortuna che ogni giorno possiede anche per il solo fatto di vivere circondata dalle persone che le vogliono bene.

— Carlotta —

Nel cimitero a cielo aperto

Il viaggio a Cracovia è giunto al termine: i giorni sono passati troppo velocemente e non ho ancora metabolizzato tutto ciò. Questa esperienza mi è servita molto: a conoscere nuove persone, nuovi posti, a conoscere gli orrori della storia che l’odio e l’indifferenza hanno creato, a sconfiggere le mie paure di non godermi l’esperienza al meglio, prendendola con troppa superficialità. Invece non è stato affatto così, ho apprezzato ogni secondo del mio viaggio, cercando anche di immedesimarmi nella storia di quelle povere persone. Alla fine della mia esperienza posso dire di essere molto fortunata. Fortunata di poter parlare, camminare, studiare, fortunata ad avere una famiglia vicina e degli amici che mi vogliono bene. A questo è servito il mio viaggio a Cracovia e la visita ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il cosiddetto “cimitero a cielo aperto”, dove una parte di me è rinata e un’altra parte è rimasta lì, con tutte quelle milioni di anime uccise con tanta crudeltà e cattiveria senza nessun motivo. Uno dei tanti momenti che ho preferito è stata la commemorazione finale a Birkenau dove, più di 300 ragazzi, hanno letto, uno per uno, il nome di un deportato per poi lasciare la propria impronta digitale su un grande telo bianco su cui c’era scritta una frase di Primo Levi. Io ho scelto Leon Szrama, un ferroviere. Di lui mi ha colpito il suo viso spaventato, inconsapevole di quello che stava succedendo, i suoi occhi impauriti e spenti. Il secondo momento è stato il tragitto dal campo di Birkenau al nostro autobus, dove ho avuto l’occasione di pensare e di riflettere alla mostruosità delle azioni dell’uomo, guardando ogni singolo oggetto che rappresentava una vita innocente spezzata, dove la neve ricopriva tutto il terreno nascondendo la fine del binario.

— Giada Anna —

Il dolore accanto

Ho pensato sin dall’inizio che avrei versato un sacco di lacrime il giorno della visita ai campi, che mi sarei fatta sovrastare dalle emozioni. Invece mi è sembrato di provare solo apatia e questo mi ha fatto sentire tremendamente in colpa. Camminavo in quelle stradine in mezzo ai blocchi di Auschwitz provando ad immaginare quello che le persone lì potevano provare e non riuscivo a sentire nulla. Solo davanti all’immensità di Birkenau ho capito che avrei metabolizzato tutto dopo, che non mi era possibile farmi carico del dolore di tutti quelli che in quei campi ci avevano lasciato la vita. Non ero rimasta apatica, ho sentito tutto d’un tratto un peso sul cuore ma non il loro dolore. Il peso morale di dover raccontare a tutti dell’immensità dei campi, degli occhi pieni di lacrime dei bambini nelle foto. Nessuno può far proprio quel dolore, ma percepire il dolore accanto a te in quel luogo ti cambia per sempre.

— Anna Paola —

La sfilza di nomi…

È terminata qui la nostra indimenticabile esperienza a Cracovia.
Sono partita con grandi aspettative, che fortunatamente non sono state deluse. Il culmine di questo viaggio è stata la visita dei campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Particolarmente toccante è stata, inoltre, la commemorazione finale tenutasi nei pressi del memoriale di Birkenau, dove, a turno, ognuno di noi ha pronunciato e ricordato al microfono il nome di uno delle tante vittime dell’olocausto. Ciò è stata senza ombra di dubbio uno dei momenti che più di altri ha fatto riflettere, dal momento che man mano che si pronunciavano i vari nomi, il ritmo diveniva sempre più veloce e la sfilza di nomi risultava notevole.
L’esperienza formativa mi ha permesso di riflettere e, soprattutto, di maturare una maggiore consapevolezza di quel periodo atroce della storia, affinché ciò non si verifichi più.

— Melissa —

Noi siamo il nostro futuro

A conclusione di questa esperienza, riflettendo sui momenti vissuti insieme agli altri, rimango sorpreso da come il passaggio che mi ha più colpito e lasciato un insegnamento profondo sia arrivato proprio nel momento più drammatico del viaggio: al termine della visita del campo di Birkenau, infatti, la guida ci ha esortati con un discorso davvero emozionante ad essere sempre noi stessi, ad inseguire sempre i nostri sogni e di trasformarli nei nostri obiettivi di vita, a fare nostri i valori dell’amicizia e della fratellanza, perché noi siamo il nostro futuro e solo noi possiamo distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato con il nostro pensiero. È stato davvero sorprendente come dal momento più basso della storia umana, dall’orrore più grande, ne sia nato invece un motivo di rinascita e riflessione personale, affinché ciò che abbiamo visto diventi l’inizio di un futuro migliore.

— Simone —

L’arma dell’amore

Una famosa citazione di Liliana Segre recita: “l’indifferenza uccide più della violenza stessa“. Ritengo che tale affermazione possa riassumere la mia esperienza ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau, nei quali penso che una parte di me sia morta e sia rimasta in quei campi. Paradossalmente il momento più profondo della visita è stata quando è giunta al termine, poichè la nostra guida ci ha esortati a riflettere su tutto quello che avevamo visto. In quel momento mi sono chiesto come fosse possibile che l’uomo, nonostante questa pagina atroce della storia, abbia continuato a diffondere odio e guerre in giro per il mondo. Sinceramente la situazione tra Palestina e Israele mi fa provare un sentimento di completo sconforto nei confronti dell’umanità, pertanto ritengo che sia l’uomo non abbia compreso assolutamente nulla del passato. Che senso ha ricordare il 27 Gennaio come giornata della memoria se poi non si agisce mai? Che senso ha piangere nei campi se poi non ci sentiamo responsabili di quello che accade nel presente? Che senso ha spendere minuti di silenzio per commemorare tutte le vittime, se poi la prima cosa che si fa è non rispettare il prossimo e non tollerarlo? Il problema principale di noi uomini è che non ci sentiamo mai colpevoli di ciò che accade e scarichiamo continuamente la colpa sul prossimo senza essere un minimo autocritici nei nostri confronti. Ognuno di noi dovrebbe comprendere che sono i piccoli gesti che possono renderci umani, ogni volta che poniamo gli altri prima di noi stessi stiamo dando uno schiaffo al nazismo, pertanto per uccidere ogni forma di totalitarismo ritengo che sia fondamentale come strumento di difesa l’amore.

— Tommaso —