di Sofia Manca e Emma Perrone –

Al fine di perseguire obiettivi formativi di alto profilo e sensibilizzare le giovani generazioni al sostegno verso le donne vittime di violenze e abusi, gli alunni delle classi quinte del Liceo hanno incontrato e si sono confrontati con le responsabili del Centro Antiviolenza “Renata Fonte”di Lecce.

Il Centro si occupa di accogliere  tutte le donne vittime di violenza di genere grazie all’aiuto di  professioniste volontarie, tra cui avvocatesse, psicologhe, psicoterapeute e  assistenti sociali, impegnate sul territorio salentino in difesa delle donne.

La presidente del Centro, Maria Luisa Toto, la professoressa Sara Invitto, docente di psicologia dell’Università del Salento e l’avv. penalista, Ester Nemola, hanno presentato e raccontato la loro esperienza, più che venticinquennale, nel “Renata Fonte”.

Offrire  sostegno a chi ha perso tutto,  anche la propria identità di donna, madre e compagna perché oggetto di maltrattamenti fisici e psichici, è lo scopo principale di coloro che operano

nel centro. 

Donne di tutte le età chiedono aiuto per situazioni personali particolarmente gravi che rendono la vita impossibile, se non a rischio di gesti estremi.

Minacce, stalking, pedinamenti e atti brutali  di violenza espongono le donne  a violenza di genere  sotto il punto di vista umano, psicologico, economico  e giuridico.

 Ciò che più ha colpito e segnato gli studenti è stato il racconto dei  diversi casi concreti di forza e attacchi personali;  il rendersi conto di come molte donne non percepiscano la violenza  come tale perché assuefatte ad una condizione che viene ritenuta “normale”, soffrendo a volte anche anni prima di denunciare e chiedere aiuto. 

Ancora più triste è stato sentir dire che gli uomini nella maggior parte dei casi  non sono soliti pentirsi, ma si mostrano quasi inconsapevoli dei loro comportamenti che ritengono scontati e normali per la cultura e l’educazione che hanno ricevuto,  

Tanti sono stati i racconti drammatici: un uomo accusato di stalking nei confronti della sua compagna che, nel momento in cui lei è uscita di casa con un’amica senza il suo permesso, ha dato alle fiamme le loro automobili. La storia di una giovane donna giunta al Centro “Renata Fonte” gravemente ferita per aver osato prendere parte ad una cena tra colleghi di lavoro, senza “autorizzazione” del proprio compagno.

A far gelare il sangue, invece, il racconto delle inaccettabili scuse di un padre alla propria figlia diciottenne, abusata sin dall’età di nove anni, solo nel corso del processo che lo ha dichiarato colpevole di violenza sessuale.

L’uomo ha giustificato il suo atto e ha ammesso di non essere consapevole della gravità di quanto commesso nei confronti della ragazza.

Un modo inequivocabile per ammettere le proprie colpe.

In un mondo in cui ormai l’assuefazione verso questo genere di episodi regna indiscussa,generando indifferenza e disinteresse,  ci si è chiesti fino a quando si potrà andare avanti senza provare sdegno, paura, ribrezzo per questi drammi individuali che in realtà sono drammi collettivi?

Il “Renata Fonte”, nel ricordo di una salentina sacrificatasi in nome dei diritti civili e della tutela del patrimonio ambientale, è la testimonianza di come si raggiungano  risultati concreti attraverso il  lavoro di squadra .