di Elisabetta Potì

Di recente, è stata pubblicata dal Messaggero un’intervista allo psicologo Paolo Crepet riguardo lo sconvolgente omicidio di Giulia Cecchettin, che tocca in particolare noi giovani. Il tragico episodio, infatti, apre l’argomento della nuova violenza tra gli adolescenti e porta a domandarsi se sia effettivamente nuova o, piuttosto, l’evoluzione di un’antica aggressività. Al giorno d’oggi, in tutto il mondo si riscontra un numero altissimo di femminicidi. La causa di questo fenomeno è molto spesso oggetto di discussione per gli studiosi della psiche. Alcuni di loro, non concordano con la teoria che vede la società patriarcale come causa principale.

La definizione di una società patriarcale è la seguente: un “sistema sociale maschilista in cui gli uomini detengono principalmente il potere e predominano in ruoli di leadership politica, autorità morale e privilegio sociale”. Lo psicologo Paolo Crepet non ritiene che la società patriarcale e la relativa mentalità abbiano un ruolo effettivo nei femminicidi di cui si sono macchiati giovani come Filippo Turetta. Crepet, in altre parole, sostiene che il motivo per cui le donne vengono uccise non abbia stretti collegamenti con un fenomeno che comporta gli stipendi minori, o la banale differenza di trattamento tra uomini e donne, o ancora la difficoltà delle donne a trovare lavoro per il semplice fatto che potrebbero richiedere un periodo in maternità. Ciò che viene a galla dalla sua intervista a Il Messaggero è la capacità degli uomini di trovare spiegazioni a fenomeni tanto tragici come i femminicidi, scaricando la colpa su fattori di cui non sono colpevoli in modo diretto. Le scelte educative sbagliate, che prendono i genitori di coloro che diverranno assassini, dichiarate colpevoli da Crepet, non sono prese solo dai padri. Ecco dunque che è stato trovato il modo per sollevare il maschio da tutte le sue colpe. Con tale affermazione non intendo accusare Crepet di aver fondato o supportato il patriarcato, né di mirare a schivare, in modo infantile, un’assunzione di responsabilità. Il patriarcato, tuttavia, è stato fondato e tenuto in vita dagli uomini, anche se non se ne rendono conto. Le sue conseguenze sono innegabilmente la cultura dello stupro, la divulgazione di foto spinte di ragazze per ripicca, per minaccia, la violenza di genere, che spesso – troppo spesso – sfocia nei femminicidi. 

Ritengo che, nel momento in cui la società patriarcale viene nominata, il pensiero degli uomini si rivolga all’immagine della famiglia novecentesca in cui l’unico a prendere le decisioni era il marito. Immagine indubbiamente corretta, ma riduttiva. La società patriarcale è vedere, ancora oggi, una bambina cresciuta osservando sua madre che si fa in quattro per trovare lavoro e mantenerlo suo, mentre si prende cura dei bambini che non possono essere lasciati al padre. Il patriarcato è vedere la stessa ragazza essere molestata mentre cammina per strada da un uomo cresciuto, a cui non è mai stato detto nulla riguardo il suo comportamento. Il patriarcato è vedere la stessa ragazza non solo subire battute sessiste, ma battute sessiste dette da amici che “tanto scherzano!”. Il patriarcato è vederle ridere a questi commenti per paura di essere prese per ragazze pesanti con le quali non si può parlare. Il patriarcato è vedere quella ragazza perdere le speranze di non far diventare la sua vita come quella della madre che osservava da piccola. Il patriarcato è la rassegnazione delle donne.

Il femminicidio è la conseguenza di un mancato rispetto per la vita di una donna, concetto che gli uomini non possono in alcun modo aver partorito in autonomia. Crepet ritiene che sia colpa dei genitori che non riescono a dire di no ai loro figli. Sicuramente il rifiuto di essere respinti influisce significativamente sulla formazione degli adolescenti. Ma un genitore troppo permissivo raramente crea una visione così distorta nella mente di suo figlio. Le opinioni riguardo le donne sono, in genere, già state radicate nei loro pensieri da una società malata. 

È vero, tuttavia, come afferma lo psicologo, che il ruolo di un genitore nella crescita dei ragazzi è decisivo. È compito dei genitori dare forma a una mente forte che non venga condizionata dagli stimoli violenti della società in cui nascono. Troppo spesso si parla di ragazzi perbene che, influenzati dai loro coetanei, si sono persi completamente. Si tratta di avere una mentalità basata sui giusti principi insegnati dalle opportune figure adulte nella vita di un adolescente, che deve essere appropriatamente controllato, conosciuto a fondo e i cui comportamenti, se violenti, devono essere corretti. Questo è necessario per evitare di far germogliare ancora un’altra generazione brutale e pericolosa. Come scrive Elena Cecchettin nella sua toccante lettera alla sorella Giulia, vittima di femminicidio: “Turetta (l’assassino, nda) viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza, ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura.” 

Crepet ritiene che le potenziali vittime di femminicidio, come Giulia, potrebbero essere salvate attraverso la complicità nelle relazioni degli amici, dei familiari, degli insegnanti.

Sono d’accordo con tale tesi solo in parte. Nonostante sia innegabile che, nel momento in cui ci si trova di fronte a comportamenti preoccupanti, è necessario avvisare e non tenerlo nascosto, non credo che sia questo il punto risolutivo.

Tutte le donne sono potenziali vittime di femminicidio, di stupro, di molestie fisiche, di molestie verbali. 

Il cambiamento, la salvezza delle donne, non deve partire da loro, bensì dagli uomini. Nella mente di un uomo, non dovrebbe e non dev’esserci posto per la violenza. Bisogna siano educati in modo giusto.

Stento a credere che il femminicidio della bimba di soli dieci anni sarebbe potuto essere evitato se ne avesse parlato con un’amica, uno dei pochi suggerimenti forniti dallo psicologo intervistato. La piccola Luana stava tornando a casa da scuola quando è stata rapita, stuprata e uccisa da un cinquantasettenne. 

Indipendentemente dall’età, le donne corrono un rischio altissimo anche solo uscendo di casa, notte o giorno che sia.

E nemmeno nelle loro stesse dimore sono al sicuro. Come Anna Elisa, che è stata data alle fiamme dal compagno nella sua abitazione. O ancora come Michele, accoltellata sette volte dal compagno nella sua casa ai piedi della Maiella.

Dunque, la soluzione non dovrebbe essere dare “istruzioni” alle donne, ma educare gli uomini correttamente, come afferma Crepet, anche insegnando loro ad accettare un “no”.