“Gratta e vinci!” E se perdi? Capita, la Dea Bendata non ha occhi per nessuno; è cieca, spietata, fredda, pigra.

Posa la sua mano con indifferenza, una volta ogni chissà quanti mila grattini maciullati da monetine avide. La Dea Bendata non ha occhi, ma ha un volto e un corpo: è il volto e le mani degli operai che ripongono la carta nelle stampanti industriali, è la mente e l’arguzia di chi programma le vincite, anzi le perdite. É la legge della statistica, ineluttabile, che pure accorre in aiuto dei giocatori, venendo puntualmente inascoltata. La Dea Bendata, anzi il gioco, gioco d’azzardo, espressione necessaria a contestualizzare il fenomeno nella realtà, e non nell’Olimpo, è figlio di una società drogata dal Dio denaro, reso quanto mai onnipotente ancora una volta dalla crisi economica, che obbliga le imprese ad assumere i migliori, per produrre di più, vendere più. È una lotta tra Davide e Golia, questa volta senza il lieto fine. Perché Davide non diventa Re d’Israele, ma sprofonda nella piaga della depressione e della disoccupazione che in Italia non si declina come “turn-over occupazionale”, ma assume spesso carattere cronico. Davide, antonomastico, in questo caso, dei vinti, è il padre di famiglia che ha perso il lavoro e non sa come “sbarcare il lunario”, è il tossicodipendente che deve comprare un’altra dose, è il ragazzo che a modo suo scommette sulla sua squadra del cuore, accanendosi. Davide ha perso quasi tutto: gli affetti, il lavoro, la dignità, presto perderà anche l’automobile, la casa, la salute,  le mutande; ma non ha perso la speranza. Quella -si dice- è l’ultima a morire, perché quando muore anche la speranza, subentra l’alienazione, la morte secunda, dell’anima, che ti rende un fantasma, un reietto. È un sognatore Davide, è un illuso, un inguaribile romantico che aspira a un futuro diverso per sé e per sia moglie e magari anche a una sistemazione per il figlio. Una vincita farebbe proprio comodo: non chiede molto, Davide, basterebbero anche 3000 euro, per quel viaggio di nozze ancora nel cassetto. Il PortaFortuna è il suo preferito. “1 euro al giorno”, dice “non costa nulla”. La domenica, invece, si sogna in grande, con il Miliardario. Chissà cosa ci farebbe con mezzo milione di euro…vorrebbe tanto sfottere con una Lamborghini quel suo amico di gioventù “che si è fatto avvocato” e che preferiva studiare piuttosto che andare al centro scommesse. È una vittima, Davide, inconsapevole, di quella stessa società che criticava duramente durante i moti studenteschi. Una società che polarizza in maniera manichea, chi è il bene e chi è il male, una società che lo ha vomitato: lui che era un dilettante tra quegli agonisti. Al processo di Davide ci sarà un solo imputato: lo Stato. L’istituzione che doveva aiutarlo, e come lui, tutte le altre pecore smarrite, con ammortizzatori sociali e un programma di aiuti economici e psicologici; invece non solo ha voltato le spalle, ma si è trasformato nel suo peggiore aguzzino. L’AAMS, ente pubblico, gestisce il monopolio del gioco (come per i tabacchi), non d’azzardo, s’intende, ma gioco responsabile, talmente responsabile che mette a disposizione una varietà infinita di prodotti “per divertirsi”, dal Bingo, al Superenalotto, all’ex Totocalcio, passando per i “gratta e vinci” e le slot machine. Non avrà giustizia, Davide, perché il suo giudice e soccorritore è il suo stesso boia. Riposa in pace, Davide, questa volta Golia era davvero invincibile.