di Gabriele Guerrieri

#AndTheOscarGoesTo

Trasporre su pellicola gli orrori commessi dai totalitarismi del Novecento e, in particolare, la strage degli ebrei sottoscritta dal Nazismo, non è impresa da poco. Si rischia facilmente di cadere nella retorica spicciola ed in semplificazioni che non danno giustizia agli avvicendamenti storici. E, ancor peggio, ambire a parlare di Nazismo con i toni irriverenti della commedia potrebbe sembrare, blasfemo. Taika Waititi, regista, attore e sceneggiatore neozelandese di discendenza ebraica, accetta la sfida e, immune a pregiudizi e critiche senza fondamento, costruisce una deliziosa pellicola che nella sua apparente leggerezza veicola una critica tanto sprezzante quanto tremendamente necessaria.

JOJO, AMICI IMMAGINARI E NEMICI IN SOFFITTA

La Seconda Guerra Mondiale è agli sgoccioli. Jojo ha dieci anni ed è un nazista fanatico al punto da avere come amico immaginario il Führer in persona. La sua idolatria e cieca fedeltà nei confronti del Terzo Reich verrà messa a dura prova quando scoprirà che la madre nasconde in casa una giovane ebrea. Continuare a seguire i dettami del regime o cercare un contatto con il suo nemico dichiarato? Gli ebrei sono realmente dei mostri deformi e maligni come il bambino li ha sempre sognati? Dice il vero la voce che continua ad assordare la sua innocente ed manovrabile mente? Sono queste le domande che assillano il piccolo Jojo, il cui tenero volto è quello della giovanissima rivelazione Roman Griffin Davis.

L’INGENUITÀ NEL MALE 

L’ingenuità che si fa specchio dell’orrore. Due occhioni azzurri e una biondissima chioma riccioluta, marchio di fabbrica dell’ariano prêt-à-porter, diventano la prospettiva attraverso la quale lo spettatore viene immerso nel microcosmo ricostruito da Waititi. Quello di una Germania ingozzata di odio, marcatamente razzista, la cui popolazione si bea in un mare di indottrinamento forzato e violenza gratuita. Un ambiente pauroso che è la normalità nella visione distorta del piccolo Jojo, la cui inevitabile crescita, scandita delle ingenue e, per questo, sincere emozioni della fanciullezza, diverrà la chiave di lettura dell’analisi condotta nella pellicola.

Se il clima tratteggiato non corrispondesse esattamente alla situazione tedesca del periodo, la pellicola potrebbe essere letta come una parodia esagerata e grottesca. Ma la forza di questo Jojo Rabbit sta proprio nell’intrecciarsi armonico dei pur presenti tratti parodistici e di scorci di disarmante verosimiglianza.

CORRI JOJO, CORRI 

I momenti più tragicomici della pellicola corrispondono alle apparizioni di un Hitler pazzoide e sopra le righe interpretato dal regista Taika Waititi e alle gags affidate all’esuberante Rebel Wilson e all’ambiguo Capitano Klenzendorf del grande Sam Rockwell. Non mancano stoccate drammatiche e profonde riflessioni riguardo il giogo culturale ed ideologico di cui erano vittima i tedeschi, sin dalla giovanissima età. A dare voce alla necessità di non lasciarsi sopraffare dall’invadenza del totalitarismo, ci pensa una splendida Scarlett Johansson che, con grazia e coinvolgimento, interpreta la madre eversiva del piccolo Jojo (interpretazione per la quale ha ricevuto una candidatura all’Oscar).

Non è un caso che, agli Oscars 2020, quella di Jojo Rabbit sia stata designata la Miglior sceneggiatura adattata. Taika Waititi, che oltre a dirigere e recitare nella pellicola, ne firma anche la sceneggiatura (diventando il primo indigeno maori a ricevere una statuetta per il suo lavoro), attinge alla fonte, il romanzo del 2004 Come semi d’autunno di Christine Leunens, ampliando il racconto e arricchendolo di quell’umorismo burlesco tipico della sua penna. Quello che ne vien fuori è una sceneggiatura di ferro ossatura imprescindibile di una pellicola lodevole anche dal punto di vista tecnico. La scenografia  dialoga con il racconto quasi fosse un personaggio a sè e la ricercatezza nei costumi dona una tridimensionalità ancora maggiore ai personaggi.  

Una pellicola alternativa, irriverente, ironica, potenzialmente nei gusti di qualunque fascia di pubblico e per questo, a suo modo, sovversiva. L’amore dimostrato dal pubblico è una garanzia della sua efficacia. In barba a qualunque polemica.