Lunedì 14 dicembre l’intera GSuite è finita down per circa quarantacinque minuti.

Come dichiarato dallo stesso Google in un comunicato stampa, alle 3,47 A.M. (costa occidentale degli States) tutti i servizi del gigante informatico inerenti all’autenticazione hanno smesso di funzionare, piantando in asso migliaia di utenti nel mezzo delle loro attività.

Sempre stando a quanto dichiarato dall’azienda della Silicon Valley, il malfunzionamento, curiosamente, sarebbe stato causato da “un problema di quota sullo spazio interno”: anche chi vende caro lo spazio di archiviazione, in fin dei conti, può esaurire il proprio.

Trai servizi colpiti vi erano anche Meet e Classroom, due app fra le più usate per la didattica a distanza nelle scuole.

Di conseguenza, presto sono diventate virali immagini ritoccate ad hoc che attribuivano la responsabilità del down ad un hacker buono, un Babbo Natale moscovita (che sia un richiamo alle origini russe di Santa Claus?) desideroso di anticipare le vacanze.

La confusione è poi stata alimentata dai media.

Quasi contemporaneamente al down dell’azienda capeggiata da Sundar Pichai, infatti, sono stati rilanciati diversi articoli riguardo un presunto cyber-attacco ai danni del governo statunitense.

La violazione dei database americani si è effettivamente verificata, tuttavia la concomitanza dell’evento con il “problema tecnico” riscontrato da Google ha portato molti a ipotizzare l’esistenza di un nesso tra i due eventi, in realtà nettamente distinti.

Come riportato dal Corriere della sera, i server ”violati” sono solo quelli del governo americano. Che la cybersecurity fosse troppo occupata a scongiurare ingerenze esterne sulle elezioni per evitare un 2016-bis?

Sta di fatto che dei pirati informatici avrebbero fatto irruzione nella rete dei dipartimenti del Tesoro e del Commercio, riuscendo a monitorare il traffico interno della posta delle agenzie governative e trafugando dati sensibili.

La responsabilità dell’attacco, inizialmente attribuita ai russi in maniera informale, è stata immediatamente seguita da un’energica smentita proveniente dal Cremlino: tra Washington e Mosca non si prospetta di certo un Natale coi fiocchi.