di Simone Elia

“Io sono una città nera
e una rondine notturna.
Qualche ragazzo mi sorride
e allora divento volpe canterina.
Un mare di pesci
mi nuota sempre intorno,
sono i falsi poeti
che vogliono toccare il genio
con la piuma contorta
di un’insana voracità
ma la curiosità è un grillo schiacciato
che fa finta di essere un’anima.”

(da “Il Re delle Vacanze” favole, poesie, aforismi. Ed. Acquaviva)

Un matto, un illuminato, un nipote di Dio: questo è un poeta.

Poetare significa fare un esercizio di pazzia, andare contro natura, modificarla, renderla un po’ più nostra. 

Ogni tentativo esterno, tipico di noi violenti, di “profanare” un universo unico, qual è quello della poesia, cercando di analizzarlo, studiarlo, è un attacco alla più antica peculiarità dell’uomo. Per capire il senso più originale di questa forma d’arte bisogna diventare spettatori fermi, farsi travolgere dall’irrazionalità.

Alda Merini, con i suoi tremendi anni di manicomio, è stata una donna “interrotta” che ha avuto l’opportunità, e la fortuna, di capire l’umanità descrivendola autenticamente, come nessuno ha saputo probabilmente fare meglio di lei, attraverso paesaggi ricorrenti, stati d’animo, esperienze tipiche e atipiche. È stata, come dichiara nell’omonimo libro, la pazza della porta accanto,

Alda Merini nella sua camera da letto ai Navigli. Annotava i numeri di telefono sulle pareti.

In occasione del dodicesimo anniversario dalla sua morte la ricordiamo come un genio, una fumatrice accanita, una “signora poetessa”. 

L’unica “normale” in un mondo di pazzi, la Merini ha descritto da dentro gli estremi della mente umana, il dolore, l’odio, la disperazione, l’infelicità, o l’amore, la gioia di vivere, rapportandosi in maniera unica nei confronti dell’esistenza. 

Alda Merini è la dimostrazione di come gli opposti non siano opposti, di come, nello scrivere e nello stare-al-mondo, si possa essere “attivamente passivi” e porsi delle domande senza porsele. 

I versi della signora poetessa non devono essere parafrasati, sono pura evidenza. 

Le parole, apparentemente strane, a volte inaspettate, sono -in realtà- perfette, si trovano dove sorprendentemente dovrebbero stare.

Leggere di questa donna che ha vissuto ai Navigli, nella caotica (e assurda) casa di famiglia, apre nuovi punti di vista, ci rende più uomini, amici, figli, fratelli. Agisce indiscretamente sul nostro animo. La Merini ci spacca, ci rovina, ci migliora. La Merini ci “merina”: ci disincanta, ci avvicina alla morte, al fascino perverso del dolore, senza farci dimenticare la nostra natura francescana. Ci invita ad allontanarci dalla banalità del denaro, a esercitare il thauma: la paura, la meraviglia della vita.