di Cristina Milanese

Finlandizzazione, no-fly zone, guerra ibrida, corridoi umanitari, shock and awe. Eccetera, eccetera. Tante le parole che dall’inizio del conflitto russo-ucraino sono “uscite dal forziere” del registro geopolitico-militare, affermandosi sulla scena comunicativa e mediatica delle ultime settimane. Eppure il vocabolario della geopolitica – approccio alla realtà del mondo scevro da semplificazioni e narrazioni dicotomiche – rimane oscuro e inaccessibile a tanti; quelli che si presentano come “paroloni” altisonanti non sono neologismi formulati ad hoc da alcuni giorni a questa parte, ma termini che hanno una propria storia alle spalle.

Finlandizzazione

Parola che per eccellenza è specchio di trascorsi geopolitici da cui ha preso “il nome”. Protagonista di questi trascorsi è per l’appunto la Finlandia. Il termine, coniato nel 1961 in lingua tedesca, è oggi espressione di un possibile compromesso al tavolo delle trattative.

La condizione delineata da questa parola è la neutralità rispetto alle alleanze geopolitiche dei due blocchi. Tale approccio, maturato nel clima della Guerra Fredda, si rese necessario al fine di preservare indipendenza e assetto costituzionale propri rispetto ad una pericolo di invasione della vicina Russia, in caso di adesione al blocco occidentale. La paura dell’invasione dell’Orso scaturiva dai rapporti di sottomissione fino ad allora subiti dalla Finlandia. Territorio dell’Impero Russo sino al 1917, dopo aver ottenuto l’indipendenza, la Finlandia subì l’invasione nel ’39 (Guerra d’Inverno), si arrese nel ’40 e cedette parte del suo territorio all’estero vicino. Nel 1948, poi, URSS e Finlandia sottoscrissero un Trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza ); i Finnici si impegnavano a non entrare nella NATO, rifiutando anche gli aiuti del piano Marshall; i Russi non avrebbero invaso i loro territori. Il trattato fu annullato dopo lo scioglimento dell’URSS.

Nonostante le numerose difficoltà nel rendersi indipendente dal Cremlino. specie in politica estera, la Finlandia è riuscita a tessere rapporti con l’Occidente. Prova ne è la sua entrata nell’Unione Europea nel 1995.

No-fly zone

Più volte nel corso dei suoi appelli all’Occidente Zelensky ha chiesto che fosse imposta una no-fly zone sui cieli ucraini. Il presidente ha ricevuto il secco no di NATO, UE e ONU, convinte che una tale azione sarebbe interpretata come la loro volontà di trasformare il conflitto tra due stati nella Terza Guerra Mondiale. Perché?

La zona di interdizione al volo per aerei non autorizzati rappresenta un’area su cui è stato posto il divieto di sorvolo. Una volta imposta la no-fly zone, le organizzazioni internazionali hanno il compito di assicurarsi con attività di pattugliamento che l’aviazione a cui è stato vietato il sorvolo non contravvenga a tale misura. Se ciò avviene si deve procedere all’abbattimento dei mezzi non autorizzati intercettati. Inoltre per far sì che le attività di pattugliamento non siano ostacolate dalla capacità antiaerea del nemico, si può procedere all’eliminazione di sue basi e mezzi terrestri, come radar e missili antiaerei. Ecco perché tutto ciò, applicato al conflitto in corso, aprirebbe la strada ad un’escalation totale.

Guerra ibrida

L’aggettivo permette di cogliere l’essenza eterogenea, non convenzionale di questo diverso modo di fare guerra. Ibrida perché “poliedrica” nei diversi mezzi adottati per combatterla. Mezzi che solo in ultima ratio sono armi, blindati, eserciti e aviazione. I campi su cui si combatte la guerra ibrida, infatti, sono altri. Cibernetica, strategia della comunicazione, diplomazia, manipolazione dell’economia e del mercato.

Nel caso di Russia e Ucraina, nonostante si sia arrivati comunque alle armi, il conflitto ha avuto e ha caratteri tipici della guerra ibrida. Lo schieramento delle truppe russe al confine ucraino era inizialmente indirizzato da parte di Vladimir Putin ad un esercizio di diplomazia coercitiva nei confronti di Ucraina e della NATO. In soldoni, ti minaccio con la forza per ottenere quel che voglio. Vi sono poi propaganda, disinformazione e psicologia della comunicazione, elementi sì comuni a tutti i tipi di guerra, ma che nel caso di quella ibrida si avvalgono anche dei format strategico-comunicativi dei social. E dunque la cibernetica, che mira a compromettere le infrastrutture di comunicazione della fazione nemica.

Last but not least, le sanzioni economiche alla Russia da parte di UE, Stati Uniti e altri Paesi sono un altro esempio di applicazione di guerra ibrida al caso attuale. Queste mirano ad isolare il Paese che si vuole contrastare tagliandolo da molti circuiti economici e azionari globali, in maniera tale da comprometterne la stabilità e costringerlo a ritrattare. Un’arma a doppio taglio che danneggia sia chi subisce il colpo, sia chi lo affonda.

Corridoi umanitari

Lunghe file di uomini, donne e bambini che tentano di scappare dal teatro di guerra e rifugiarsi in territori sicuri. Questa può essere una immagine plastica dell’espressione “corridoi umanitari“.

I corridoi umanitari constano di programmi di evacuazione di persone da zone di emergenza umanitaria (guerre, carestie, disastri naturali) e del loro successivo trasferimento in luoghi sicuri. Ulteriore finalità è quella di contrastare i traffici di esseri umani, soluzioni di fuga illegali e mortali.

L’iter giuridico che regola i corridoi umanitari si basa sull’art. 25 del Regolamento CE 810/2009 che offre la possibilità ai Paesi Schengen di rilasciare visti umanitari validi per il proprio territorio. In Italia, il rilascio dei visti è normato da attività di controllo e sicurezza del Ministero dell’Interno.

Shock and awe

“Colpisci e terrorizza”, letteralmente. Ad introdurre tale formula, Harlan K. Hulmann – oggi Senior Advisor dell’Atlantic Council a Washington- nel 1996 con il suo omonimo libro Shock and Awe, nel quale egli delineava la dottrina militare del “Dominio Rapido” basandosi sull’operazione Desert Storm del 1991 per la liberazione del Kuwait.

La strategia dello shock and awe ruota attorno alla psicologia dell’avversario. Obiettivo è annientarne nel più breve tempo possibile la volontà di resistere, inducendolo a convincersi della propria impotenza sul campo di battaglia e ad accettare le condizioni del nemico. Come? Dando “l’impressione che non ci siano rifugi sicuri dagli attacchi e che qualsiasi obiettivo può essere attaccato in qualsiasi momento impunemente e con la forza“, si legge nel libro. Perciò, secondo la dottrina, l’impiego di operazioni cinetiche è sempre necessario ed atto a ottenere il “Dominio Rapido”, isolando l’avversario sul piano infrastrutturale e di approvvigionamento; ma anche mediatico e cibernetico, sfruttando invece le “armi della tecnologia”.

E’ possibile vedere nell’attacco russo una strategia di shock and awe? Assolutamente. L’obiettivo di Putin era ottenere la resa dell’avversario alle proprie condizioni nel più breve tempo possibile. Impantanarsi in una guerra su vasta scala non era probabilmente nei suoi piani, considerando costi e rischi che questa può comportare anche per il proprio esercito. Ora che le aspettative sono state deluse, quali saranno dunque i disegni di Mosca? E quali quelli di Kiev?