di Alice Monte, Asia Elena Esposito, Kiara Velo –

La giornata è cominciata molto presto per i Degiorgini presenti a Cracovia. Il programma del giorno è stato “pesante” in ogni senso: visita ai campi di Auschwitz e Birchenau.

Alle 6 hanno lasciato l’ostello alla volta di Auschwitz. Quasi 70 chilometri da percorrere in pullman prima dell’alba e varcare il cancello che illude che “il lavoro rende liberi” (“Arbeit macht frei“).

Leggi l’articolo su Auschwitz (ndr).

Alle ore 11:30 terminata la visita di Auschwitz e dopo un breve pranzo al sacco ci siamo diretti verso Auschwitz 2, ovvero Birkenau.

A differenza di Auschwitz, oramai diventato un museo, questo si presentava in maniera molto più cruda; infatti ci ha permesso di comprendere al meglio quello che hanno passato i deportati. Il pensiero che lì poco più di 84 anni fa hanno perso la vita circa un milione di persone ha provocato in noi un senso di vuoto e rabbia mai provato prima. L’ingresso è situato lungo la Strada della Morte sulla quale arrivavano i vagoni delle persone deportate che venivano separate e smistate dagli ufficiali nazisti.

La prima tappa è stata una delle baracche del settore maschile in cui abbiamo appreso le pessime condizioni di vita dei prigionieri. Dopodiché la nostra guida ci ha condotto verso le latrine, uno dei luoghi più disumani di quel posto in quanto 180 postazioni si trovavano in uno spazio ridotto.

Una rappresentazione teatrale poi ci ha fatto immergere nella storia di quel campo dal punto di vista di un deportato e un ufficiale tedesco.

La nostra guida ci ha spiegato che, quando nel 1943 le armate rosse erano ormai vicine, i tedeschi hanno cercato di eliminare più prove possibili delle atrocità commesse ed è per questo che di baracche, camere a gas e forni rimangono soltanto macerie.

Subito dopo ci siamo diretti verso il memoriale dove si è tenuta una commemorazione organizzata dall’associazione Treno della Memoria, la quale ci ha fornito dei pezzi di stoffa bianca e un pennarello sui quali abbiamo scritto il nome di una persona che era stata deportata in quei campi. A turno ognuno di noi ha letto il nome al microfono, lasciato la propria impronta digitale su uno striscione commemorativo e acceso una candela in ricordo di una persona che ha incontrato la morte. Il pezzo di stoffa con i nome è stata poi posta sul binario che li ha condotti in questo luogo di sterminio.

Continueremo a ricordare i deportati in modo tale da restituirgli la dignità di cui sono stati privati in passato. Solo il tempo ci dirà quanto abbiamo imparato e compreso da questa esperienza e se siamo stati in grado di realizzare qualcosa di concreto, anche se in piccolo, in modo che queste cose non si verifichino un’altra volta.

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