di Andrea Caputi, Letizia Marzo e Anna Maria Alba –
La sveglia del quinto giorno è suonata presto per noi degiorgini che ci siamo preparati ad affrontare una delle giornate più impegnative ed emozionanti di questo viaggio. Alle sei del mattino siamo saliti sul pullman alla volta di Auschwitz e in quell’ora di tragitto tanti sono stati i dubbi e le aspettative.
Dopo aver passato i controlli e individuato la nostra guida, ci hanno ccompagnati verso l’entrata del campo. All’ingresso del campo è presente una scritta su un cancello: “Arbeit macht frei“, la cui traduzione è “Il lavoro rende liberi“, frase utilizzata dai tedeschi per ingannare le povere vittime.
Un’atmosfera cupa e grigia ci ha avvolti al primo istante, la cui sensazione continuerà a persistere dentro di noi per tutta la durata della visita. Abbiamo potuto vedere diversi blocchi, tutti in mattoni, le cui funzioni erano prettamente connesse alla memoria della maggior parte delle vittime che hanno perso la loro vita nella camera a gas. Molte sono le immagini che ci hanno segnato nel profondo: la più straziante è stata vedere la teca contenenti milioni di capelli che appartenevano per lo più a donne.
Chi entrava nel campo veniva privato della propria dignità e libertà, avviando una disumanizzazione di massa. Oltre ai resti di capelli erano conservati all’interno dello stesso blocco: occhiali, valigie, pentole, scarpe, abbigliamento vario, frammenti di Torah. Dentro ogni oggetto c’è una persona, con la sua identità, la sua storia, le sue amicizie, i suoi parenti, i suoi amici, la sua professione, le sue speranze,… il suo numero, la sua morte.
Abbiamo proseguito la visita immedesimandoci nel dolore delle vittime scrutando i loro volti che oltre a comunicare disperazione trasmettevano una sensazione proprio di speranza: d’altronde è questa l’indole umana!
Alla fine del percorso ci siamo recati presso il luogo della morte per antonomasia, le camere a gas e i formi crematori. Un persorso che per molti di loro dall’ingresso alla morte durava solo un’ora. Il sentimento predominante che ha avvolto le nostre anime è stata pura apatia, il motivo di questa emozione è strettamente connessa all’incapacità di poter comprendere fin dove la crudeltà dell’uomo di è spinta contro un altro uomo. La possibilità di poter osservare questi luoghi con i nostri occhi, oltre ad averci reso consapevoli di questa cruda realtà, ci ha permesso di vivere un’esperienza profonda e diversa dalle altre.
Se dovessero chiederci di scegliere una parola per descrivere ciò che abbiamo visto, sarebbe impossibile trovarne una adeguata. Nessun termine potrà descrivere il dolore e la sofferenza subite dall’uomo a causa di un altro uomo.
La giornata è proseguita con un altro pugno nello stomaco e nella coscienza: Auschitz 2 – Birchenau (Leggi l’articolo)