La succursale storica del Liceo Scientifico De Giorgi è stata ospitata in quello che in origine era il Monastero dei Teresiani, poi divenuto Caserma dell’Esercito e poi dei reali Carabinieri intitolata a Vittoriano Cimarrusti.

Al di là delle informazioni facilmente reperibili in Internet, è forse utile soffermarsi su alcune considerazioni un po’ più particolareggiate in maniera tale da cogliere la figura del carabiniere in un’ottica meno celebrativa forse, ma sicuramente più personale e privata o comunque più vicina a quella realtà familiare e ambientale che gli era propria.

Vittoriano Cimarrusti è nato il 18 febbraio 1912 ad Adelfia (Bari), in Puglia; giovanissimo si è arruolato nell’Arma dei Carabinieri; che allo scoppio della Guerra con l’Etiopia era partito come volontario per il fronte; che, assegnato alla 1a Banda Autocarrata, aggregata alla Colonna del Generale Agostini, il 24 aprile 1936 presso Gunu Gadu, nell’Africa Orientale Italiana, nella seconda battaglia dell’Ogaden, aveva trovato la morte, dopo un furioso combattimento in cui si era distinto per coraggio ed abnegazione.

Nel 1936 gli fu conferita “Alla memoria”, una Medaglia d’oro al Valor Militare, riconoscimento confermato con Regio Decreto del 7 ottobre 1937. 

La motivazione che spiega la concessione della medaglia costituisce una sorta di proclama, di elogio o di encomio che ritroviamo, ripetuto sempre nello stesso modo, in tutte le lapidi, le epigrafi e le targhe a lui dedicate:

Ferito gravemente ad un braccio da pallottola esplosiva, anziché avviarsi alla sezione sanità come gli era stato ordinato, ritornava dopo sommaria medicazione sulla linea di combattimento. Scorti armati abissini in agguato sulla destra della propria centuria, li attaccava a colpi. di moschetto. Ferito una seconda volta, e non più in grado di imbracciare l’arma, proseguiva l’impari lotta con le bombe a mano uccidendo tre avversari finché crivellato di colpi cadeva gloriosamente sul campo. Sublime esempio di consapevole eroico sacrificio”. Gunu Gadu, 24 aprile 1936

La vicenda della sua morte, del suo sacrificio in battaglia è spesso associata a rappresentazioni visive (immagini, disegni, sculture, ecc.) che lo ritraggono con sembianze, aspetti, atteggiamenti, che volutamente denotano e rimarcano un senso di virilità, di risolutezza, di sprezzo del pericolo.

In effetti, già la sua prima raffigurazione, costituita dalla tavola di Vittorio Pisani pubblicata sul n. 21 della “Tribuna Illustrata” del 24 maggio 1936, lo vede ergersi al di là della trincea nell’atto di scagliare una bomba a mano.

In questa sede non si vuole certo negare che queste qualità, queste prerogative mancassero al “Carabiniere Cimmarrusti”, ma è pur vero, forse, che tale sua diffusa raffigurazione sia dovuta pure ad una certa propaganda dell’epoca, dove amor di patria, senso del dovere e sacrificio personale assumevano contorni abbastanza indistinti, trasfigurandosi in una riproduzione dello stereotipo dell’eroismo e dell’arditismo che caratterizzava la mentalità del tempo e che coinvolgeva tanti giovani.

In effetti, accanto a questa celebrazione “eroica” (comunque validissima e rispondente alla realtà dei fatti), possiamo individuare anche un lato più intimistico, personale e familiare del carabiniere, così come traspare da altri documenti (foto, lettere, scritti privati) nei quali si colgono il pensiero e l’indole di un giovane legato alla famiglia e alla sua terra. 

Una raffigurazione che non solo non sminuisce l’immagine del soldato ardimentoso e coraggioso, ma addirittura la completa con aspetti connessi alla sua vita e al suo vissuto personale. Ci fa cogliere l’uomo nella pienezza dei suoi sentimenti e delle sue azioni; una persona che, nonostante le sue umili origini, dimostra grandi doti morali e intellettuali; un individuo che con coerenza e senso del dovere persegue, a viso aperto, gli ideali in cui crede.

Soprattutto dalle due lettere inviate a casa, nel periodo in cui era di stanza in Africa orientale durante la campagna di Etiopia, viene fuori il ritratto di un giovane meridionale che, provenendo da una famiglia umile e contadina, intravede nella ferma volontaria sotto l’Arma dei Carabinieri (anche un fratello farà la stessa scelta) non solo la possibilità della sua emancipazione personale, ma anche la speranza (desiderio? illusione?) di dare il proprio contributo da un lato al sostentamento materiale della propria famiglia, dall’altro all’affermazione della grandezza politica e militare della propria patria.