Il presidente americano Donald Trump durante un discorso alla casa Bianca durato appena cinque minuti annuncia che gli Stati Uniti riconoscono Gerusalemme «capitale di Israele» e mantiene le sue promesse elettorali, confermando che sono già state prese le misure per iniziare a costruire l’edificio destinato a ospitare l’ambasciata, che sarà così spostata da Tel Aviv.
Cambio di sede che potrebbe impiegare addirittura anni. Ancora una volta Trump presenta la sua mossa come una rottura rispetto alle amministrazioni precedenti. Parla di un «nuovo e fresco modo di pensare», di una scossa alle vecchie tattiche. Una presa di distanza rispetto ai tentennamenti dei suoi predecessori. «Formule fallimentari durate decenni che non hanno portato al risultato sperato» afferma il presidente. E la pace non c’è mai stata. È un . passo dovuto da tempo perché «Antiche sfide domandano nuove soluzioni», continua, sostenendo che il «riconoscimento di Gerusalemme aprirà a nuove prospettive di pace. Israele è uno stato sovrano che ha il diritto, come ogni altro Paese, di decidere la sua capitale. Essere consapevole di questo è una condizione necessaria per raggiungere la pace e Gerusalemme non è solo il cuore di tre religioni, ma di una delle democrazie più importanti al mondo. Gli israeliani hanno costruito un paese dove tutti sono liberi di professare la loro religione. Gerusalemme è e deve restare un posto dove tutti possono pregare”, ha spiegato Trump. “Oggi riconosciamo l’ovvio: Gerusalemme è la capitale d’Israele. È Il riconoscimento della realtà, niente di più”. A dargli manforte sono stati il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente israeliano Reuven Rivlin che hanno appreso la decisione di Trump come una manna dal cielo dichiarando che è questa l’unica soluzione per giungere alla tanto attesa pace. Viceversa tante sono le critiche che giungono dall’Europa e più precisamente dai paesi della Germania, del Regno Unito, dell’Italia, dalla Francia e dall’Onu dove i rispettivi presidenti hanno ribadito che Gerusalemme dovrebbe diventare capitale condivisa solo nel momento in cui i due stati riuscissero a negoziare pacificamente; dalla Turchia il presidente Erdogan e dall’Iran Rohani si dichiarano pronti a chiudere qualsiasi rapporto con il mondo ebraico, il gruppo estremista di Hamas ha già dichiarato che la decisione di Trump apre le porte all’inferno dichiarando l’inizio dei giorni di rabbia. Il timore maggiore ora è l’inizio di un terrorismo spietato che ha portato 24 ore dopo l’annuncio l’America e il primo segretario americano Rex Tillerson ad allargare i sistemi di sicurezza. A Gaza, territorio dal clima politico e sociale già molto turbolento, sono cominciate nuove rivolte con diversi morti e tanti feriti e altrettanti sono i video che mostrano bandiere americane bruciate. Ma cosa spinge Donald Trump a tutto questo? Non certo il bisogno di procurarsi i consensi delle lobby ebraiche: gli ebrei americani sono liberali, cioè di sinistra e votano democratico; non i 60 milioni cristiani evangelici perché son già suoi; non gli europei perché sono i primi ad esortarlo alla prudenza perchè il Medio Oriente è già una polveriera e la cosa più sensata è che Gerusalemme resti la stessa città, quella aperta a tre fedi.