di Gabriele Guerrieri

Un tempo era il social Wattpad la culla delle fanfiction, racconti di fantasia confezionati da fan sfegatati (in media adolescenti in preda agli ormoni) e ispirati a personaggi e ambientazioni di famose opere letterarie o cinematografiche, (in larga parte) degni di uno scimpanzè in calore. E oggi pare prorio che la piattaforma di streaming Netflix si sia ritagliata il suo personalissimo antro delle fanfiction, popolato da prodotti tanto accattivanti per il pubblico generalista, quanto qualitativamente discutibili. Almeno in sede di scrittura. Élite, serie di punta del catalogo, giunta alla terza stagione, ne è l’esempio più lampante. Telenovela spagnola, travestita da teen drama contemporaneo dalle tinte crime, non priva di ragguardevoli aspetti positivi che non riescono però a celarne le diffuse criticità.

TELENOVELA COL MORTO

Apparentemente il fulcro della trama di Élite è l’omicidio di una studentessa della più lussuosa delle scuole private della Spagna, Las Encinas, che ha come sfondo una becera lotta di classe tra ricchissimi nel loro habitat naturale e tre poveri diavoli che, grazie ad una borsa di studio, si trovano ribaltati in un mondo loro estraneo. In realtà la serie si rivela una sequela di infantili scaramucce, love stories ai limiti della credibilità, dialoghi ridicoli e situazioni degne della più deteriore delle telenovelas. Una struttura di fondo che si ripete quasi identica in tutte e tre le stagioni che restituisce ripetitività al contenuto.

TRA STEREOTIPI E CLICHÉ

Ciò che maggiormente dispiace, guardando la serie, è scoprire come temi e spunti potenzialmente interessantissimi, e particolarmente caldi, vengano affrontati con una superficialità ed un’incoerenza di fondo capaci di veicolare messaggi diametralmente opposti a quelli sperati. Muovendosi barcollante tra anacronistici stereotipi e controproducenti clichè, la serie svuota di profondità i discorsi su classismo, scoperta della sessualità, morte, a malattia, a dipendenza contribuendo a diffondere e radicare maggiormente i pregiudizi che cerca disperatamente (e platealmente) di avversare. Una criticità effetto di una scrittura problematica che si evince sin dall’evoluzione dei personaggi. O involuzione per meglio dire. I protagonisti, infatti, troppo spesso parodia di loro stessi, invischiati in situazioni che stridono con la loro giovane età (tra i 17 e i 18 anni), compiono azioni e assumono atteggiamenti che si contraddicono di puntata in puntata. Una confusione di scrittura che nuoce irrimediabilmente al prodotto finale.

SALVANDO IL SALVABILE 

Eppure la serie non ha solo difetti. A salvare la baracca ci pensano il carisma e la presenza scenica di alcuni tra i membri del cast che regalano personaggi già iconici, pur nella loro problematicità, e con cui il pubblico riesce ad empatizzare. Tra tutti l’introverso Ander di Aron Piper, la glaciale Carla di Ester Expósito e l’esuberante Valerio di Jorge López.
Curata a livello visivo e con alcune puntate di buona fattura registica, la serie ha un ottimo comparto costumi. Impossibile da non registrare l’uso smodato della slow motion (il rallentamento delle immagini), che vorrebbe quasi donare epicità ad alcune scene, ma che, accompagnato dalla immancabile tormentone estivo spagnolo, restituisce un gusto per il  trash che, alla fine, riesce anche a far sorridere.

 Una quarta stagione è già in cantiere. Nell’ultima stagione si è fatto riferimento al recente incendio di Notre Dame, che nella prossima faccia la sua comparsa il CoronaVirus? Voi ce li vedreste gli studenti de Las Encinas, in quarantena, a regalarci tanto nuovo trash direttamente dalle loro, spesso lussuosissime, abitazioni? Non ci auguriamo di meglio.