di Virginia Prisciano

Non è bianchi contro neri, non è la polizia contro i civili. E’ l’umanità contro la disumanità, la voglia di giustizia contro un sistema da troppo tempo inquinato.

La famosa ultima goccia del vaso è traboccata e porta il nome di George Floyd. Il 25 maggio a Minneapolis la polizia intima a George a scendere dall’auto, lui oppone una minima resistenza che scompare quando si ritrova sdraiato a terra con tutto il peso dell’agente Derek Chavin sul collo. Non respiro, non riesco a respirare, per favore lasciatemi. L’agente continua a soffocarlo indisturbato per 8 minuti, finché arriva l’ambulanza, ma è troppo tardi: George Floyd muore poco dopo.

George Floyd, 46 anni

L’ennesima persona di colore vittima del razzismo ingiustificato di un agente di polizia bianco che vuole proteggere il suo paese da un pericolo che in realtà esiste solo nella sua testa. 

George non è il primo; come lui Eric Garner, Ahmaud Arbery,  Michael Brown,  Trayvon Martin, tutte persone disarmate vittime di chi non ha mai pagato per i delitti commessi, e sciaguratamente la lista non si fermerebbe qui.

Dopo l’omicidio di Eric Garner, che pronunciò le stesse parole di Floyd ben 11 volte prima di morire anche lui senza respiro, prende vita il movimento del Black Lives Matter (Le vite dei neri contano).

Le proteste

La Storia a questo punto insegna: il diffuso malcontento di una simile portata, in un paese delle dimensioni degli Stati Uniti, non può che sfociare in una protesta, sempre più ardente ogni giorno che passa.

L’America comincia a bruciare da Minneapolis: centri commerciali devastati, auto e centrali di polizia in fiamme, un reporter della CNN arrestato in diretta senza un apparente motivo, strade invase dai lacrimogeni e dalle urla dei manifestanti: JUSTICE FOR GEORGE FLOYD.

Dopo quattro giorni, il 29/05 l’agente Chavin viene arrestato. Ma non basta più questo ad acquietare le masse. Il problema di fondo è molto più radicato: non è il singolo arresto che porterà George in vita, e vale per tutte le altre vittime che non hanno avuto alcun tipo di giustizia.

L’eco della rivolta continua così a diffondersi in tutto il paese proprio come quando si cerca di placare il fuoco ma non si fa altro che alimentare la fiamma.  Da New York ad Atlanta, Los Angeles, Philadelphia, Chicago; a Detroit un 19enne viene colpito dagli spari di un Suv tra la folla,  Indianapolis conta 1 morto e diversi feriti; in 46 stati è già intervenuta la Guardia Nazionale, in 40 città vige in coprifuoco e finora si contano 4000 arresti. 

La risposta di Donald Trump

La protesta si concentra a Washington DC davanti alla Casa Blanca.  Il presidente Trump considera i manifestanti dei “teppisti” che disonorano la memoria di Floyd, e minaccia subito l’intervento dei militari se non si fossero messe le cose a posto. 

Ma così aggiunge solo legna al fuoco: la rivolta diventa sempre più agguerrita. Si mobilita l’esercito: Cani feroci contro il manifestanti afferma il presidente, secondo alcuni, rievocando i tempi del segregazionismo. E durante una videoconferenza con i governatori americani considera «idioti» chi non arresta i manifestanti e non li lascia in carcere per lunghi periodi di tempo: Dovete dominare, se non lo fate sprecate il vostro tempo e vi travolgeranno facendovi apparire come degli idioti ( -New York Times ).

I sostenitori della protesta

D’altro canto c’è chi comprende la rivolta sostenendola: è il caso della figlia del sindaco di New York, Chiara De Blasio, arrestata durante la manifestazione ( Lei vuole vedere un mondo migliore e più pacifico, afferma il padre); ancora, gli allenatori della NBA che si schierano con gli afroamericani denunciando la brutalità della polizia e la persecuzione razziale.

Non mancano i commenti dei leader politici:  Joe Biden ha accusato il presidente di usare l’esercito contro gli americani e di strappare gas contro manifestanti pacifici per un’operazione di comunicazione; molti governatori americani si sono rifiutati di schierare le forze militari; l’ex presidente Obama dichiara: L’ondata di protesta attraverso il paese rappresenta una genuina e legittima frustrazione, operando su un’importante differenza tra la maggioranza pacifica, coraggiosa e responsabile, e la minoranza di violenti che invece mette a rischio la popolazione e l’alto valore della rivolta. Anche la Cina interviene, definendo il razzismo una malattia cronica degli US. 

Anche il web risponde: migliaia di post in onore del Black Lives Matter e niente di meno che la dichiarazione di guerra alla polizia americana da parte di Anonymous

Immagine forte viene anche dalla Florida, dove i poliziotti manifestano la loro solidarietà per la morte di Floyd inginocchiandosi davanti ai manifestanti in un silenzio solenne.


Questo fa capire che l’ondata di proteste che brucia in America non è il frutto di un singolo avvenimento: c’è qualcosa di molto  più profondo e radicato, che non svanisce in seguito all’intervento delle forze militari o all’ennesima minaccia del presidente. 

Si parla del fatto che il popolo americano non sa più da chi è protetto. Nel momento in cui ci si chiede Chi dobbiamo chiamare quando è la polizia ad uccidere? vuol dire che chi aveva il compito di proteggere e servire, è finito esattamente nella parte opposta, ad attaccare e a uccidere.

MLK diceva: Sta arrivando un tempo in cui il silenzio è tradimento. 

Quel momento è arrivato, l’America non tace più. E l’unico modo per affrontarlo è comprendere la protesta, non reprimerla.

Adesso respireremo noi per te George, rest in power.