In Polonia il dibattito sull’aborto affonda le sue radici nell’epoca comunista. A partire dal 1993 questo paese estremamente cattolico ha autorizzato l’aborto solo in tre casi: quando la salute della donna è in pericolo, quando si verifica uno stupro e quando il feto presenta malformazioni. Queste restrizioni limitano il numero di aborti legali a circa un migliaio all’anno, contro circa 150mila interruzioni di gravidanze complessive secondo le stime, effettuate clandestinamente o all’estero.
Il Pis, il partito ultraconservatore al potere, ha provato per anni a cancellare le ultime possibilità legali per l’aborto. Dopo aver tentato invano di far approvare una legge nel 2016, ha cambiato metodo scatenando la collera di parte della popolazione.
Esso per raggiungere il suo obiettivo si è servito della corte costituzionale, di cui ha assunto abusivamente il controllo da qualche mese. Questa manovra, tra l’altro, è valsa alla Polonia una procedura di infrazione con l’Unione Europea.
Il tribunale ha cancellato la possibilità di abortire in caso di malformazione del feto, la causa più diffusa di interruzione di gravidanza legale.
Il governo polacco dopo alcune delle più grandi proteste di massa viste nella recente storia del paese, è stato dunque costretto a ritardare la pubblicazione di una sentenza del tribunale. Questo, di fatto, è solo l’ultimo tassello di una vicenda che è iniziata anni fa e che si è concretizzata lo scorso 22 ottobre, giorno in cui il tribunale costituzionale polacco ha reso illegale l’interruzione di gravidanza in caso di malformazione del feto.
Questa richiesta è arrivata da un centinaio di parlamentari secondo cui l’interruzione di gravidanza a causa di malformazioni fetali è in contrasto i principi della Costituzione che protegge la vita di ogni individuo. Ma misure più restrittive sul diritto all’aborto erano state supportate dalla maggioranza di governo – il partito di destra PiS (Diritto e giustizia) – in concerto con la Chiesa Cattolica. Un binomio che in realtà lavora in questa direzione già da diversi anni. Davanti alla sentenza approvata con 11 voti favorevoli e 2 contrari – che sostiene che non può esserci tutela della dignità di un individuo senza la protezione della vita – la reazione della popolazione è stata enorme e, per certi versi, inaspettata. Sul grido To Jest Wojna (“Questa è guerra”) le proteste di piazza, trainate da movimenti femministi e scioperi nazionali, si sono dilagate a macchia d’olio in tutto il paese per oltre nove giorni consecutivi.