Forse è la volta buona.

Dopo mesi, anzi anni (la legge è alla Camera dal 2015), lo Ius Soli potrebbe vedere luce nelle prossime settimane. È il pressing del governo degli ultimi giorni a spingere la legge verso una veloce approvazione, assieme ad un’altra legge-cardine, il bio-testamento. Una legge indispensabile a dare un senso a questa legislatura scialba, istituzionale certo, ma abbastanza sterile, e dal forte valore politico, fondamentale per tenere unite le forze di sinistra. Attualmente possono richiedere la cittadinanza i figli di stranieri nati in Italia, al compimento del 18esimo anno di età, dimostrando di aver vissuto ininterrottamente nel Belpaese. Prima della maggiore età, il nulla. Il vuoto. Bambini senza patria, senza nazione, nati in Italia e cresciuti qui, a Forcella, come a Trastevere o Brera, con il cuore e lo spirito italianissimi, ma non sulla carta. Almeno fino a 18 anni. Ragazzi che parlano e vivono da italiani, cui non viene riconosciuto il diritto di esserlo. La situazione si nutre anche di un paradosso: per un discendente di italiano (nonno o genitore), magari da sempre vissuto altrove e con uno ius sanguinis diluito da sangue straniero, occorrono solo due anni. È il caso dei calciatori stranieri che vestono la maglia italiana della nazionale, cosiddetti “naturalizzati”, per i quali è più semplice diventare cittadini italiani rispetto a chi nasce e vive sul suolo italiano. Appunto di suolo, si parla. Lo Ius Soli è diritto di suolo, diritto di avere la cittadinanza del suolo su cui si nasce. L’attuale legge in discussione riguarda i figli di genitori stranieri con un permesso di soggiorno di lungo periodo, che vivono e lavorano in Italia. Non riguarda gli immigrati irregolari, né genitori immigrati su cui non ricade la cittadinanza dei figli: il figlio acquisisce la cittadinanza, il genitore no. È questo il punto. I critici della legge, i partiti della destra italiana,  nazionalista, xenofoba e demagoga, sostengono che questa legge sarebbe un ulteriore incentivo ai flussi migratori. Come se negando un sacrosanto diritto o imbarbarendo la nostra civiltà si chiudessero i rubinetti delle migrazioni. Non è certo così che si risolve il problema contemporaneo più complesso, peraltro poco può fare un’Italia debole e isolata nella geopolitica internazionale. Nel frattempo mentre Samir gioca a pallone con Ciro di Napoli, mangia la cotoletta con Gianmaria di Milano o un cannolo con Salvatore di Palermo, oppure ancora mentre tifa Lazio all’Olimpico con Tullio, si sente non italiano, anzi meno italiano, sicuramente diverso rispetto a quegli amici con cui studia, gioca, dorme, vive la solita vita italiana tra gli italiani. Mai come in questo caso le “colpe” dei genitori ricadono sui figli, se di colpe si può parlare. È giusto così?