di Maria Grazia Leone

Tra pochi giorni, il 27 gennaio, sarà celebrata la Giornata della Memoria, una ricorrenza internazionale istituita il 1° novembre 2005 per commemorare le vittime dell’Olocausto. Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa sovietica liberò il campo di concentramento di Auschwitz. L’evento diventò il simbolo della liberazione del popolo ebreo dalle persecuzioni naziste.

Numerosi sono i film ispirati a questo periodo storico. Uno di questi è Il Grande Dittatore, di 80 anni fa e per questo probabilmente poco conosciuto dalle nuove generazioni.

Oltre ad essere stato un enorme successo cinematografico, Il Grande Dittatore è un vero e proprio manifesto di satira.
Frutto del genio del comico inglese Charlie Chaplin, fu girato poco dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti. Tuttavia, comparso per la prima volta nelle sale statunitensi il 15 ottobre 1940, fu proibito quasi in tutta Europa per il forte contenuto.

Il film si presenta come una vera e propria parodia del periodo nazista.
Curioso ma allo stesso tempo significativo è il tema del doppio: uno scambio di identità di due personaggi agli antipodi.
Chaplin, infatti, interpreta contemporaneamente il dittatore Hitler e un umile barbiere ebreo, che per le sue movenze e la sua ingenuità richiama il vagabondo Charlot, il più celebre personaggio interpretato da Chaplin.

Reduce della Prima Guerra Mondiale, il barbiere, dopo una lunga degenza in ospedale e la perdita della memoria, torna nel suo paese, trovandosi di fronte ad una realtà totalmente inaspettata. Le strade del ghetto in cui si trova la sua bottega vengono continuamente prese d’assalto dalle camicie grigie naziste (un riferimento alle camicie brune) e gli ebrei sono vittime di continui soprusi e angherie.

L’autorità del dittatore viene canzonata attraverso un’interpretazione caratterizzata da una gestualità iperbolica e grotteschi grammelot, discorsi nonsense in cui Chaplin riprende i suoni della lingua tedesca, ma senza utilizzare parole esistenti. Ciò dà vita ad una contrapposizione con l’ingenuità del barbiere, umile uomo, protagonista di diversi episodi che lo vedono imbattersi continuamente nelle camicie grigie.

Il film si conclude con un discorso che il barbiere, nei panni del dittatore, rivolge all’Umanità.

[…] L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà Voi vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchine con macchine al posto del cervello e del cuore. Ma voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore.

Al suo ottantesimo anniversario questo commovente discorso non ha ancora perso la sua efficacia. Queste parole invitano gli uomini ad avere speranza e a credere nell’unità dell’umanità intera, denunciando apertamente la dittatura, le sue conseguenze e, in una forma più generale, ogni tipo di discriminazione.