di Diletta Nappo –

Quando frammenti di una vita passata raggiungono la luce del presente, la realtà contemporanea incontra un rimodellamento che ci richiede di mettere in dubbio tutto ciò che una volta credevamo fosse degno di essere considerato importante. 

la locandina del docu-film

Questo è almeno ciò su cui il pubblico è invitato a riflettere nel documentario “Gianni Minà: una vita da giornalista”, che ricorda di una dimensione in cui l’ampliamento della conoscenza era il prodotto di notevole impegno e dedizione.

Si tratta di una raccolta di momenti che hanno segnato la vita del celebre giornalista. 

La regista Loredana Macchietti, moglie di Minà, cerca di conferire un senso di ordine a questa enorme collezione nostalgica, e alla fine si prova la stessa incredibile malinconia che subentra quando ci si trova a casa dei nonni, circondati da album impolverati da un mondo apparentemente preistorico.

Anche se estranee al mondo che le precede cronologicamente, le generazioni odierne possono immaginare quanto difficile fosse ottenere notizie provenienti da ambienti esterni all’Italia. Oggi ci basta una mano e un telefono per avvicinarci ai cambiamenti che mutano la politica, l’economia e la società attuali.

Ed è per questo che Minà si definisce “Un ponte per la trasmissione di informazioni”: la sua è una vera e propria opera di coltivazione della mente umana, che consiste nel mettere a disposizione della popolazione italiana (e non solo) informazioni altrimenti irraggiungibili.

Alle interviste d’epoca si alternano però anche testimonianze delle personalità televisive che maggiormente lo hanno accompagnato tra gli scoop. E, mentre sembra servire un ruolo importante nella composizione della narrativa, è facile chiedersi perché gli aneddoti che all’interno della pellicola lo vedevano protagonista, non siano stati raccontati da Minà: ricorrono frequentemente scene in cui amici d’infanzia e celebrità storiche si trovano a qualche metro dal giornalista, o seduti con lui ad un tavolino, a testimoniare esperienze rese indimenticabili da Gianni stesso. Si tratta di un dettaglio facilmente trascurabile; ma un approccio diverso avrebbe sicuramente avvicinato di più Minà allo spettatore, creando un legame essenziale al raggiungimento dell’obiettivo principale del film, trasmettere il suo ricordo in seguito alla scomparsa.

Tale particolare però non danneggia la bellezza del lavoro che giace dietro le quinte del documentario; la passione della regista nel ricostruire una carriera così ampia e leggendaria non è sicuramente lasciata inosservata, ma anzi viene trasmessa a tutti i sedili della platea, che una volta lasciati vuoti, sono abbandonati da menti ispirate ad affrontare le realtà che oggi ci offre il mondo.